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Mio padre, anni fa, acquistò uno dei miei quadri; già la casa ne era piena, a dire il vero, ma quello me lo pagò “Perché voglio che sia di mia esclusiva proprietà”, disse.
Il soggetto era un bosco di betulle, e mi era venuto piuttosto bene… insomma, non per vantarmi, ma è uno dei miei quadri più riusciti, e nel salotto fa una bellissima figura.
Pochissimo tempo dopo, però, cominciarono le lamentele: “Potevi anche metterceli, due funghi, sotto quell’albero”, oppure: “potevi anche dipingere un bel cerbiatto che facesse capolino da dietro un cespuglio”, e la più bella di tutte: “Tu non mi dai mai retta, quando ti dico come andrebbe fatto un quadro”…
… e ci mancherebbe! Chi ha fatto l’Accademia, tu o io? Mi verrebbe da rispondere… invece sto zitta, tanto papà è fatto così, e non la capisce proprio la legge degli spazi vuoti.
In pittura, come in letteratura del resto, ma anche nella musica, i vuoti sono importanti quanto i pieni, le pause quanto i suoni.
In poesia è l’indeterminatezza del testo che dà al lettore lo spazio per entrare con i propri sentimenti a contatto con quelli dell’autore. Nei fumetti, ad esempio, gli “iati temporali” tra una vignetta e l’altra, sono colmati dal lettore in maniera quasi inconscia e, quando un autore è bravo, i lettori o gli spettatori “riempiono” i vuoti lasciati da ciò che non è scritto, dipinto, suonato, diventando essi stessi coautori dell’opera con la propria personale interpretazione.
Non si può dipingere tutto.
Se avessi dipinto i funghi sarebbero stati i “miei” funghi, se avessi dipinto il cerbiatto sarebbe stato il “mio” cerbiatto, non il tuo, papà…
… e scommettiamo che ci avresti trovato qualcosa da ridire?
:-)
(Sul linguaggio poetico/ letterario/ narrativo e le possibili interpretazioni da parte del lettore, un libro che consiglio è: “La mente a più dimensioni” di Jerome Bruner, Editori Laterza.)
Molto interessante. Questo tuo post, da cui prenderò spunto a piene mani, riecheggia proprio la filosofia che più mi affascina, ovvero quel ramo della teoretica che prende vita dagli studi di Althusser sul concetto di 'lettura sintomale'. Ovvero gli scarti di senso, il non detto, il voler dire... Questo piano dell'interpretazione del reale che non è mai una lettura semplice del mondo che ci viene dato così com'è ma che è sempre un gioco delle parti, tra noi, la nostra volontà, il nostro contesto, la nostra storia e la realtà appunto. Quelle connessioni tra una vista ingenua della realtà e la nostra interpretazione di essa, che creano il 'nuovo', la creazione poetica.
RispondiEliminawow... gemellaggio tra arte e filosofia!
RispondiEliminaMa io scrivo più potabile, però!
:-P