giovedì 27 novembre 2014

Nebbia

Quando ero bambina, mi piaceva la nebbia. 
Era una specie di magia, che trasformava il banale paesaggio di ogni giorno in un ambiente pieno di mistero e di avventura.
Mi piaceva fingere di perdermi nei prati, delle dimensioni di fazzoletti, che erano i rimasugli della campagna del mio paese, frettolosamente e irrimediabilmente convertito da una dimensione contadina ad una industrial-familiare (ah! i miracoli del nord est!).

La nebbia restringeva la visuale ed ampliava gli orizzonti. Proprio come faceva la siepe del colle per il Leopardi.

Uguale uguale.

Solo che io non sono diventata una poetessa famosa, ma forse è perchè io, per avere la nebbia, dovevo aspettare la stagione giusta, invece Giacomo, la siepe ce l'aveva tutto l'anno.

Comunque.

Il punto è che a me, da bambina, piaceva questa idea del non sapere cosa mi aspettasse, nascosto nella nebbia. Mi piaceva l'idea di perdermi, la possibilità di imboccare una strada nuova, anche per sbaglio, o magari apposta. 
Magari avrei voluto perdermi anche d'estate, ma il coraggio non ce l'avevo e la nebbia era un buon pretesto.




Invece adesso, che non sono più bambina, e che ho la patente, e che faccio ogni giorno le stesse strade per andare al lavoro, a fare la spesa e a pranzo dai miei, la nebbia non mi piace più.
A dirla tutta, la temo.
Al massimo mi piace guardarla dalla finestra, restando al calduccio di casa.
Guidare nella nebbia e sbagliare strada si può finire in un fosso, e farsi male, ma anche solo danneggiare l'auto sarebbe una tragedia, che senza, come ci vado al lavoro? E i soldi per pagare il carrozziere da dove li prendo? Che quest'anno, la tredicesima la dovrò investire in un PC portatile, perchè a scuola mi serve e quello in dotazione è un catorcio.

E i sogni sono sogni e la realtà è che la nebbia è umida, e fa venire i reumatismi e il mal di schiena.

E poi, dai, lo sanno tutti che Giacomo Leopardi era uno sfigato.


Eppure, che la nebbia piaccia o no, arriva la stagione sua, e tu comunque devi uscire, là fuori, e in casa non ci puoi restare.
Devi camminarci in mezzo, e non importa niente se hai l'automobile, tanto devi andare a passo d'uomo. 
Tanto vale che ci trovi qualcosa di buono.

Così ti ricordi di quando eri bambina e la nebbia ti piaceva, perchè cambiare strada era un'opportunità, e a te bastava non perdere te stessa. Tu e le tue gambe, un passo dopo l'altro, con attenzione, che il fosso ci poteva essere, anche in quel fazzoletto di campagna assediata dai capannoni.

E, siccome sei sempre stata miope, e ci vedevi poco, ti divertiva pensare che, nella nebbia, gli altri bambini, che ti chiamavano quattrocchi, erano cecati come te, anzi, di più. 
Perchè tu sapevi usare qualcos'altro per vedere: naso, piedi, mani. 
E cuore.
Ed è per questo che ne sei sempre uscita, dalla nebbia.
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