sabato 26 dicembre 2020

Cuore di Strega 8 - Strade e cattedrali

 Non sono molti i miei lettori, ma qualcuno c'è. Queste poche persone che mi chiedono di poter leggere i prossimi capitoli, mi danno la forza di andare avanti con questo lavoro. Non è il mio mestiere, scrivere. Non ho idea se Cuore di Strega abbia le potenzialità e le caratteristiche di essere, un giorno, pubblicato. So soltanto che scriverlo, in questo preciso momento della mia vita, mi sta aiutando molto. Perciò, ecco a voi il capitolo 8 e, se siete più avanti con la lettura, vi lascio il link al capitolo 12, che ho appena postato su Wattpad.

In questi giorni sto lavorando al numero 13, che non è per nulla facile da scrivere. Spero di poterlo pubblicare entro la fine dell'anno. Buone Feste a tutti voi!

Cuore di Strega 12- Wattpad




Strade e cattedrali

Da questa attività imparai comunque moltissime cose interessanti su me stessa e su come funziona la mia mente: una delle prime è che l’inconscio sa proteggersi dalle intrusioni esterne. Non appena riuscivo ad afferrare il significato di un simbolo, infatti, quella parte del mio cervello deputata a fabbricare i sogni, tendeva a non utilizzarlo più.

Poi compresi che, se è vero che alcuni simboli sono archetipi universali, come sa bene chi studia psicologia, ce ne sono altri che sono ad uso esclusivo e personale: vale a dire che hanno un significato specifico per noi e noi soltanto. Può trattarsi di un luogo o di una situazione che abbiamo sperimentato nella nostra vita e che ha lasciato un particolare tipo di impronta nella nostra psiche, di una persona che ha suscitato in noi uno speciale sentimento o di impressione. Magari quando siamo svegli non ricordiamo affatto di quale sentimento si tratti, ma il nostro inconscio lo sa ed utilizza luoghi, persone e situazioni per tessere storie che possono avere un significato preciso oppure avere la funzione di sfogare ansie e frustrazioni che ci portiamo appresso e che, da svegli, teniamo ben nascoste anche a noi stessi.

Molti dei miei sogni sono ricorrenti, non tanto per gli eventi che vi si svolgono, quanto per gli ambienti e in paesaggi. È come se dentro di me, con il tempo, si fosse andata formando una geografia onirica, modellata sull’impronta dei luoghi reali in cui vivo, ma dalle proporzioni ingigantite e arricchita da particolari che aumentano, di anno in anno, in quantità e qualità.

Uno di questi ambienti, probabilmente quello radicato in me da più tempo, è quello della chiesa: la prima volta che la sognai, da bambina, era una piccola chiesa bianca, posta sulla sommità di una collina baciata dal sole. Le giravo attorno, desiderosa di entrarvi per vederne l’interno, ma non trovavo nessuna apertura. Solo sul retro, in basso, c’era una finestrella chiusa da una grata e io tentavo invano di scrutare al suo interno: tutto era buio e silenzioso.

Il sogno della chiesa tornò durante la mia adolescenza. L’edificio si era fatto più grande ma ancora non riuscivo a visitarne l’interno. In compenso, accanto vi era sorto un cimitero nel quale amavo passeggiare. In questi sogni c’era sempre il sole, un senso di pace e appartenenza; a volte provavo uno struggente sentimento di nostalgia.

Mano a mano che gli anni passano, chiesa e cimitero diventano sempre più grandi, solenni, monumentali ed elaborati. Le forme e i colori cambiano da un sogno all’altro, ma io sono consapevole che il luogo è sempre lo stesso perché ogni volta sento di esserci già stata e mi sento serena e a mio agio. Da semplice pieve di campagna, la chiesa che mi appare in sogno è ormai diventata una vera e propria cattedrale, nella quale posso entrare a mio piacimento, anche se talvolta alcuni ambienti mi rimangono preclusi. Cammino nelle sue vaste sale, coperte da volte a crociera sorrette da colonne e pilastri intarsiati di marmi colorati. Non vi si trovano lunghe navate, ma ambienti larghi, in penombra, affollati da gente in preghiera, nicchie, stanze più piccole, corridoi e scalinate. Ogni elemento è decorato in maniera sontuosa, vi si odono canti e musica d’organo. Spesso cerco di allontanarmi dalle zone più affollate e percorro i corridoi solitari, salgo scale a chiocciola, in esplorazione. Oppure esco e mi dirigo verso il cimitero, che quasi sempre si trova in una posizione sopraelevata rispetto alla cattedrale e per arrivarci occorre percorrere una tortuosa stradina in salita, affiancata da vecchi muri coperti di muschio. Là mi inoltro tra le tombe, adornate da statue, mosaici colorati o cancellate di ferro battuto. Non di rado, affacciandosi al muretto che lo circonda si gode di una vista meravigliosa sui tetti di cotto di un’antica città o su enormi giardini verdeggianti.

Un altro ambiente ricorrente nei miei sogni è il quartiere in cui abitavo con i miei genitori, oppure l’intero paese in cui sono vissuta per tutta la mia vita. Ogni cosa si trova più o meno dov’è nella realtà della veglia: il paese si stende in lunghezza all’interno di una valle percorsa da un torrente, affiancato dalle due strade principali, da una parte la provinciale e dall’altra la comunale che sbuca nella piazza del Municipio. Le due strade sono collegate, a intervalli più o meno regolari, da diversi ponti. Questa semplice mappa nella mia personale realtà onirica è dilatata e ricolma di elementi tanto fantasiosi che io stessa, sognando, me ne stupisco. Non sempre tali elementi si ripetono, alcuni li ho veduti una sola volta, ma erano di una bellezza tale che mi sono rimasti impressi nella memoria e avrei tanto voluto avere il pennello di Winsor McCay[1] o di Moebius[2] per poterli dipingere, una volta sveglia: palazzi in rilucente marmo bianco in bilico su ponti dello stesso materiale, gettati sulle sponde del grande fiume in cui la mia mente notturna trasforma il torrente che scorre nella valle; nere cattedrali gotiche dalle guglie altissime, con torri d’onice scalate da strette scale a chiocciola; mercati fitti di bancarelle multicolori degne di un bazar orientale, interi quartieri incastonati sui fianchi di ripide colline, giardini segreti nascosti dietro i muri delle case. E ancora, condomini trasformati in palazzi dalle forme eclettiche con bifore medievali per finestre e ascensori capaci di muoversi in orizzontale come in verticale, all’interno di residence labirintici.

Sulle colline che circondano la valle, le frazioni e le contrade del mio paese si trasformano in antichi borghi con archi e piazzette lastricate, collegate da strade a strapiombo su pareti di roccia che talvolta si aprono in grotte da cui fuoriescono sorgenti d’acqua calda o fredda.

Lungo quella che nella realtà è una provinciale polverosa percorsa da lunghe file di automobili e camion, nelle mie visioni oniriche si aprono da un lato osterie malfamate e scure botteghe di vecchi artigiani che fabbricano aghi, dall’altro, oltre il fiume, giace un quartiere semiabbandonato, coperto di rovi e ortiche, impossibile da raggiungere, tranne che per le fatiscenti barche di pescatori zingari.

Talvolta mi muovo più ad est, fuori dalla valle, verso la cittadina che si trova giù in pianura e quella stessa strada diventa lunghissima e teatro dei viaggi più strani e bizzarri. Molto spesso lunghi tratti si allagano costringendo tutti i personaggi del sogno ad abbandonare i propri veicoli e a proseguire a piedi, lottando contro il fango e la corrente. Altre volte il tragitto è interrotto dagli scavi di ruspe che estraggono dal sottosuolo gli scheletri di un’intera necropoli. Nei miei sogni ho percorso quella strada a piedi, in bicicletta, a cavallo, alla guida di camion o, recentemente, di un’auto sportiva con i pedali lontanissimi dai miei piedi. Ho affrontato grandine e tempeste e gelate e inondazioni.

Nella cittadina confinante con il mio paese, la viabilità è molto più contorta: a volte mi ci perdo, tra vicoli che si intersecano e che in alcune occasioni passano attraverso gli edifici. In una certa zona, poco distante dalla stazione degli autobus, solamente nei miei sogni purtroppo, si trova un negozio che vende esclusivamente cioccolata. Negli anni, da piccolo chiosco delle dimensioni di un’edicola, è andato via via ingrandendosi ed acquisendo vetrine e magazzini che sono un vero paradiso dei sensi: non soltanto vi si trovano cioccolatini, pasticcini e tavolette fatti con il cacao più ricercato e costoso, ma vere e proprie sculture di cioccolato, dalle forme più fantasiose ed elaborate, colorate con glasse dai mille invitanti colori. All’interno, un profumo delizioso mi avvolge ed io mi aggiro lentamente tra gli scaffali, osservando tutto con molta attenzione prima di scegliere cosa acquistare, perché i prezzi sono alle stelle! Un omino baffuto dallo sguardo sornione è il proprietario e spesso gli chiedo consigli sugli ultimi articoli arrivati in negozio. Lui mi fa assaggiare qualche frammento di dolci che gli sono arrivati da lontani paesi o da rinomate pasticcerie.

I miei sogni non sono tutti belli, naturalmente, ma tutti sono affollati di personaggi, di oggetti e di colori. Quando sono brutti riflettono le mie ansie, ma non faccio quasi mai dei veri e propri incubi: piuttosto mi ritrovo in situazioni confuse, in cui sono costretta a compiere azioni ripetitive che non finiscono mai, come preparare bagagli, o mettere in ordine una stanza che per quanto mi affanni rimane sempre sommersa dal disordine. Oppure sogno di trovarmi a scuola e di correre da un corridoio all’altro in cerca dell’aula in cui si trova la mia classe, ma invano; o ancora, di dannarmi a cercare di far lezione ad un gruppo di allievi completamente disinteressati a ciò che dico, di cercare di mettere una nota con una penna che non scrive o con un computer che non funziona. Da questi sogni mi sveglio stanca e nervosa, come se avessi realmente lavorato tutta la notte, anziché dormire.

La cosa interessante è che conosco quasi sempre da dove viene una certa immagine o una certa situazione onirica: le mie visioni sono come alberi che hanno radici profondamente ancorate nella parte più nascosta di me stessa: ma pur essendo nascosta, è pur sempre una parte di me e a me sola appartiene. Una strega sa distinguere un ricordo da un desiderio, un’ansia da una paura, sia che si manifestino ad occhi aperti o chiusi.

E ciò che ancora non conosce lo abbraccia, lo accoglie e lo conserva dentro di sé come un seme, attendendo che si manifesti come si attende il germoglio a primavera.

Perché il mistero racchiuso in ogni cuore è sacro, come una piccola chiesa bianca sulla sommità di una collina, che prima o poi si apre e diventa un’immensa cattedrale, se soltanto si ha la pazienza e il desiderio di guardare al suo interno.



[1] Winsor McCay (1869 – 1934) è stato un fumettista, animatore e illustratore statunitense, autore dei meravigliosi viaggi onirici di Little Nemo in Slumberland (1905), un fumetto che narra i sogni estremamente fantasiosi e colorati di un bambino di nome Nemo.

[2] Jean Giraud, noto con lo pseudonimo “Moebius” (1938 – 2012) è considerato uno dei maestri del fumetto e dell’illustrazione fantasy.


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