venerdì 31 luglio 2009

CHIUSO PER FERIE

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DAL 31 LUGLIO

AL 10 AGOSTO

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Buone vacanze a tutti!

martedì 28 luglio 2009

Un libro per l’estate (3)

...(Immagine dal web)

Spesso dico scherzando di essere un po’ strega, ma ormai mi sono convinta che tutte le donne lo sono. Le mie amiche, sicuramente. Era da un po’ di tempo che Lorena mi consigliava di leggere questo libro: “Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere” di un certo John Gray, e continuava a ricevere da me un secco rifiuto.
“è un libro sui rapporti di coppia, no? Che me ne faccio? Io sono single!”
“ma ti spiega come comunicano i maschi: il loro linguaggio è diverso da quello femminile, perciò spesso ci si fraintende…”
“so benissimo come comunicano i maschi. Non sono cresciuta con due fratelli maschi inutilmente.”
E via così… poi, sabato scorso, alla mia festa di compleanno, apro i regali e cosa trovo? Il libro di John Gray! Non da parte di Lorena, ma di altre due amiche, che non avevano mai visto Lorena prima di quella sera. A quel punto mi sono arresa. Devo proprio leggerlo, evidentemente.
Così ho iniziato. Classico manualetto americano. Come immaginavo, molti dei contenuti sono di una banalità sconcertante. Per esempio, l’autore dice che dentro ogni uomo si nasconde un “cavaliere dalla lucente armatura”, pronto a porgere aiuto e protezione alla “damigella in difficoltà” nascosta in ogni donna…
Bella scoperta. Lo sapevo già. Moltissimi degli uomini che conosco e frequento (tengo a precisare che gli uomini che frequento sono tutte bravissime persone) sono così. Se ho bisogno di aiuto, è sufficiente che io lo dica, i cavalieri arrivano. Al galoppo.
Quello che invece il signor Gray dimentica di dire, è che ANCHE in ogni donna si nasconde un “cavaliere dalla lucente armatura” (e non solo la “damigella in difficoltà”).
Ogni donna che si sia sentita rifiutata o abbandonata, in un certo periodo della sua vita, o che semplicemente abbia ereditato un carattere particolarmente orgoglioso dai suoi avi, ha perennemente la spada sguainata. Gli uomini scappano di fronte a queste donne, perché si sentono superflui e poco apprezzati. Fintanto che non c’è un coinvolgimento emotivo, provano simpatia per queste strane “marziane”, anzi, direi quasi una sorta di cameratismo. Ma se per caso la “marziana” si innamora del “marziano”, lascia la corazza e torna ad essere una “venusiana” al 100%, allora cominciano i guai.
Beh, a volte cominciano anche prima! In realtà, a me questo libro serve davvero a poco, perché non ho nessuna difficoltà di comunicazione con i maschi che non hanno un coinvolgimento emotivo con me.
Invece, se c’è la possibilità di iniziare un rapporto, non mi serve lo stesso, perché il marziano in questione si defila con la velocità della luce.

Comunque non voglio stroncarlo del tutto, questo libro, perché vi sono contenute delle “chicche” per cui, tutto sommato, vale la pena di leggerlo. Si, insomma, John Gray mi sta insegnando qualcosa, lo ammetto. Per esempio, ieri sera mi ha colpito particolarmente questo passaggio:

“Gli uomini dicono di rado “mi dispiace” perché là su Marte ciò significa che hai fatto qualcosa di sbagliato e che ora ti stai scusando. Le donne invece utilizzano questa frase per significare “Nutro il massimo interesse per i tuoi sentimenti”. Ciò non significa che vogliono scusarsi per avere commesso un errore.”


Mi è successa questa cosa pochissimi giorni fa. Ho detto ad un marziano che mi dispiaceva che le cose fossero andate male tra noi, e gli ho chiesto scusa, dato che non vuole più vedermi. La sua risposta è stata:
“Non hai nulla di cui scusarti, non hai fatto niente di male.”

Non riuscivo a capire per quale motivo una tale risposta mi ferisse tanto. Ora lo so. In fin dei conti lo sapevo anch’io, di non aver fatto nulla di male. Scusarmi era un modo per fargli capire che comprendevo e rispettavo la sua idea di non vedermi più. Ma non è servito a niente… forse dovrebbero essere più gli uomini a leggere il libro di John Gray. Il linguaggio femminile, così ricco di sfumature e sottointesi è davvero troppo difficile per i marziani…

Comunque, anche per una donna, stare continuamente attenta a come comunicare in modo corretto con il suo extraterrestre preferito, è uno stress non indifferente! Ieri sera sono uscita con un amico, e per tutta la serata mi sono sentita tesa e preoccupata, mi chiedevo in continuazione come lui avrebbe interpretato il mio linguaggio “venusiano”, se in quel momento gli stavo trasmettendo abbastanza “approvazione” e “ammirazione” (sentimenti che effettivamente provo verso questa persona)!
Maledetto John Gray! Mi faccio troppo influenzare!

Per fortuna ad un certo punto ci siamo messi a parlare dei personaggi di “Desperate Housewives”, la serie televisiva che entrambi adoriamo… e finalmente ho capito: ecco cos’hanno di speciale i miei amici… sono un pizzico venusiani anche loro! A quel punto sono riuscita un pochino a rilassarmi e a dimenticare John Gray…

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venerdì 24 luglio 2009

Tridimensionale (2)

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Avevo promesso di pubblicare le foto della scultura di Paolo... ed eccola qui. A dire il vero non è "finita" nel vero senso del termine, perchè deve asciugare (e ci vuole attenzione anche in questa fase perchè potrebbe rompersi, dato che ci sono parti più spesse e altre più sottili, che non asciugano cioè con gli stessi tempi) e poi eventualmente (spero!) cuocerla, perchè in quel modo diventerebbe molto più resistente e prenderebbe quel bel colore "terracotta", mentre da cruda, la creta è grigia...

Queste due foto le ho colorate io con un programma di grafica, per dare l'idea di come dovrebbe essere la scultura una volta cotta.

lunedì 20 luglio 2009

Disse la Luna...

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Disse la Luna alla Montagna:
"Dicono tutti che sono una lagna
pallida, bianca, sola soletta,
sempre volubile, sempre di fretta,
con una schiera di corteggiatori
che non potrebbero esser peggiori!
Gente romantica, poeti, artisti,
e più mi guardano più sono tristi!
Ma sono stufa, voglio cambiare,
io questa notte vado a ballare!"


Così, mostrando la faccia nascosta,
senza aspettare una risposta,
la Luna truccata con molta cura
(era nottambula già di natura)
rotolò in fretta davanti all'ingresso
di un bel locale di grande successo.


Ma sulla pista scoprì con dispetto
che non faceva un bell'effetto
in mezzo alla folla stare pigiata,
lei che era al cielo abituata.


Un bellimbusto, guardando appena
la bella faccia da luna piena,
disse: "Sei grassa, santa pazienza!
Non sei alla moda, non fai tendenza!"


Lei, permalosa, con lo stivaletto,
gli tirò un calcio proprio diretto,
poi, già che aveva il vestito da sera,
lasciò la disco per la balera.




Maramannara - 2002 (Mara Bagatella)


Sono passati 40 anni dalla prima passeggiata dell'uomo sulla Luna, ma Lei non ha perso nulla della sua magia.


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Licenza Creative Commons
Questo opera è distribuito con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia.

sabato 18 luglio 2009

Un libro per l’estate (2)

...(immagine dal web)

Quando ero bambina, avevo una mia personale definizione di “persona ricca/ abbiente”, ed era la seguente: “dicesi persona ricca chi possiede una casa con giardino abbastanza grande da contenere alberi a loro volta abbastanza grandi da poterci appendere un’amaca”.

L’amaca l’avevo vista una sola volta, a casa di gente, appunto, molto ricca, e da quel momento era diventata per me uno status symbol, un oggetto di lusso (che ce l’avesse anche Paperino nel minuscolo giardino di casa sua, e Zio Paperone no, era un problema che non mi sfiorava. Si sa che i fumetti sono cosa ben diversa dalla realtà).

Da adulta non sono riuscita a cambiare idea, ma ho aggiunto un corollario alla regola, che ora suona così: “dicesi persona ricca chi possiede una casa con giardino abbastanza grande da contenere alberi a loro volta abbastanza grandi da poterci appendere un’amaca… e sa concedersi il lusso di adoperarla”.
Perché qui, nel ricco Nordest, la gente può anche avere abbastanza denaro per comprarsi la casa, il giardino, l’amaca, ma poi è sempre al lavoro, e allora a cosa serve?
Il massimo del lusso per me è potersi spaparanzare su un’amaca, all’ombra di alberi frondosi, in compagnia di un libro interessante.


Michele mi guardava con aria infelice. Chiaro esempio di quando i soldi non garantiscono la felicità di una persona. Avevo diciassette anni, in quella estate strana. Non ero più bambina, ma non potevo dirmi ancora adulta. Lui ne aveva quattordici, guance rosa e un problema molto tipico per i ragazzi della sua età: i compiti per le vacanze.
In breve: aveva il giardino, aveva l’amaca, aveva il libro… ma non aveva nessuna voglia di leggerlo. Tra quelli della lista consigliati dall’insegnante, aveva scelto il più sottile: era “Il visconte dimezzato” di Italo Calvino. Nella sua ingenuità, non aveva pensato che lo spessore di un libro non si misura dal numero delle pagine. Avevo un debole per quel ragazzino dallo sguardo dolce, ma non fu per questo che mi offersi di aiutarlo. Avevo adocchiato l’amaca.

“Ma ce la fai a leggerlo tutto in un pomeriggio?”

Dovevo sbrigarmi prima che i nostri genitori decidessero che la visita di cortesia era finita.

“Credo di si, basta che nessuno venga a disturbarmi. Poi ti racconto la trama e come va a finire”.

Fu un pomeriggio bellissimo, dondolante, sognante, con Michele guardiano a vegliare sulla mia tranquilla lettura.

Un pomeriggio di lusso.

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venerdì 17 luglio 2009

Il mio nemico

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(perché certe volte mi sembra inutile dire una cosa se qualcun altro l'ha già detta molto meglio di quanto io potrei mai fare...)

Finché sei in tempo tira
e non sbagliare mira
probabilmente il bersaglio che vedi
è solo l'abbaglio di chi da dietro spera
che tu ci provi ancora
perché poi gira e rigira gli serve solo una scusa
la fregatura è che c'è sempre un altro che paga
e c'è qualcuno che indaga per estirpare la piaga
però chissà come mai qualsiasi cosa accada
nel palazzo lontano nessuno fa una piega
serve una testa che cada e poi chissenefrega
la prima testa di cazzo trovata per strada
serve una testa che cada e poi chissenefrega
la prima testa di cazzo trovata per strada

Se vuoi tirare tira
ma non sbagliare mira
probabilmente il bersaglio che vedi
è solo l'abbaglio di chi da dietro giura
che ha la coscienza pura
ma sotto quella vernice ci sono squallide mura
la dittatura c'è ma non si sa dove sta
non si vede da qua
non si vede da qua
la dittatura c'è ma non si sa dove sta
non si vede da qua
non si vede da qua

Il mio nemico non ha divisa
ama le armi ma non le usa
nella fondina tiene le carte visa
e quando uccide non chiede scusa
Il mio nemico non ha divisa
ama le armi ma non le usa
nella fondina tiene le carte visa
e quando uccide non chiede scusa

E se non hai morale
e se non hai passione
se nessun dubbio ti assale
perché la sola ragione che ti interessa avere
è una ragione sociale
ma soprattutto se hai qualche dannata guerra da fare
non farla nel mio nome
non farla nel mio nome
che non hai mani domandato la mia autorizzazione
se ti difenderai non farlo nel mio nome
che non hai mai domandato la mia opinione

Finché sei in tempo tira
e non sbagliare mira
(sparagli piero sparagli ora)
finché sei in tempo tira
e non sbagliare mira
(sparagli piero sparagli ora)

Il mio nemico non ha divisa
ama le armi ma non le usa
nella fondina tiene le carte visa
e quando uccide non chiede scusa
Il mio nemico non ha divisa
ama le armi ma non le usa
nella fondina tiene le carte visa
e quando uccide non chiede scusa
Il mio nemico non ha nome
non ha nemmeno religione
e il potere non lo logora
il potere non lo logora

Il mio nemico mi somiglia è come me
lui ama la famiglia
e per questo piglia più di ciò che da
e non sbaglierà
ma se sbaglia un altro pagherà
e il potere non lo logora
il potere non lo logora


Testo e musica: Daniele Silvestri
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giovedì 16 luglio 2009

Un libro per l’estate (1)

...Illustrazione di Giovanna Gazzi


Ve le ricordate le liste di libri dei quali vi veniva “consigliata” la lettura durante le vacanze estive, quando andavate a scuola? Le avete mai prese davvero in considerazione?


Ho sempre avuto un rapporto particolare con la lettura, fin da piccolissima. Intorno ai quattro anni e mezzo, i miei genitori si accorsero che sapevo leggere. Come avevo imparato? Da quanto tempo lo sapevo fare? Non si sa, all’epoca non andavo nemmeno alla Scuola Materna. Pochissimo tempo dopo, i miei si accorsero anche di un altro fatto, assai più sgradevole: non ci vedevo. Ero miope, molto miope, a cinque anni già portavo gli occhiali, e la miopia progrediva di anno in anno in maniera preoccupante. Così, dato che, se avessi potuto, avrei passato tutto il mio tempo chinata su qualunque pagina scritta avessi trovato, i libri sparirono da casa mia, né vi entravano riviste o giornali di nessun tipo. La mia salute era in pericolo, e i miei genitori erano decisi a difenderla ad ogni costo, che io potessi essere potenzialmente una specie di “bambina prodigio”* a loro non importava.

Ai miei genitori piaceva leggere, la prima enciclopedia per bambini, i mitici “Quindici” l’acquistarono a rate alla nascita di mio fratello Fausto, io avevo appena venti mesi. Ce l’hanno ancora, sgualcita e malconcia, visibilmente vissuta, a portata di mano dei miei nipoti e di qualunque altro bambino che arrivi a casa. A me, però, rimase preclusa per anni, e pur di leggere mi accontentavo dell’Enciclopedia Medica, della quale, però, ammetto di non aver mai capito un granché (a parte le pagine riguardanti l’apparato scheletrico e quelle sulla gravidanza, quando in famiglia si aspettava il terzo fratellino, le altre non mi interessavano).

Ogni tanto, mi capitava di fare un sogno, bellissimo e frustrante, in cui mi trovavo all’interno di una stanza piena zeppa di libri e fumetti ed erano tutti per me. Ma non riuscivo a leggerne nemmeno uno, e sul più bello mi svegliavo.

Nelle lunghe, noiose, estenuanti domeniche di visita ai parenti, le uniche cose che trovavo da leggere erano “Famiglia Cristiana” e il calendario di Frate Indovino (che adoravo, perché coloratissimo e pieno di disegni). Per fortuna, c’era la casa della zia Maria. La mamma ci portava spesso in quella casa, perché era una fattoria, c’erano le mucche, le galline, il caminetto acceso d’inverno, i gatti solitari, i poco socievoli cani da caccia, e campi e prati in cui correre e alberi su cui arrampicarsi. Ma io ero imbranata, fisicamente impedita e preferivo imboscarmi a leggere i fotoromanzi collezionati dalle mie cugine più grandi. Sdolcinate storie d’amore immortalate in fotografie in bianco e nero sicuramente poco adatte alla mia età. Scatoloni interi. E poi la rivista “Cioè” (ma esiste ancora?) tutta cuoricini rosa, e ancor più caramellose storielle di amori adolescenziali, che sicuramente io, chiusa a leggere negli sgabuzzini delle scope, avrei tardato, e di molto, a vivere in prima persona (ma in terza di copertina c’erano anche le strisce di Lupo Alberto, su “Cioè”!). E poi il “Giornalino”, pubblicazione parrocchiale per ragazzi, su cui ho scoperto Asterix, il Gargantua di Dino Battaglia (anche se non sapevo ancora chi fosse) e “Pon Pon” di Luciano Bottaro.

Era il mio paradiso personale, dal quale potevo essere scacciata in qualsiasi momento, non appena un parente (zio, zia, padre, madre, cugino/a più grande) mi avesse scoperta. (“Fuori! A giocare!”)

Leggere per me era proibito, perciò la lettura divenne la mia ossessione. Il primo giorno di scuola, quando la mamma tirava fuori dall’armadio il libro di lettura, tenuto lungamente nascosto, io, di nascosto, l’avevo già letto tutto. Va da sé che a scuola mi annoiavo.

In realtà, credo fosse un rifugio. Gli occhiali, brutti e fragili, che avevo paura di rompere, i frequenti malanni, il fisico gracile, non facevano di me un’ambita compagna di giochi. In più, avevo un caratteraccio. Orgogliosa oltre ogni dire, piuttosto che subire un rifiuto, mi isolavo dagli altri bambini, non chiedevo mai “posso giocare?”, preferivo tuffarmi in un mondo di immagini e parole.

Facevo la Prima Media quando i miei rilevarono una vecchia cartolibreria. Iniziò un nuovo periodo di “lettura di contrabbando”. Prendere un libro, leggerlo in fretta, maneggiandolo con tutta la delicatezza possibile per non rovinarlo, rimetterlo nello scaffale, prenderne un altro. I miei genitori, oramai, non mi sgridavano più, un po’ perché non se ne accorgevano, un po’ perché lo facevano anche loro (più tardi venni a sapere che anche mia madre era stata una bambina che leggeva di nascosto). Ricordo in particolare un’intera notte passata in bianco (facevo le Superiori, ma che anno era?) a leggere “Il richiamo della foresta” (versione integrale) libro ordinato da un cliente che sarebbe venuto a prenderlo il giorno dopo. Dovevo finirlo. Assolutamente.
Anche in Biblioteca ci andavo di nascosto e con l’aria di una cospiratrice. Shakespeare. Romeo e Giulietta. Sogno di una notte di mezza estate. Amleto… Goldoni. Tutta la saga di Re Artù e la ricerca del Graal. Le Mille e una Notte. Non riesco a ricordarli tutti. Dal negozio dei miei invece (che era come un’altra biblioteca, alla quale bisognava restituire i libri, quasi sempre) i gialli di Agatha Christie, i libri di De Mello, Isabel Allende (prima li leggeva mia madre, o durante, dato che io leggo più velocemente di lei, glieli sottraevo a metà lettura. Ma non ero così cattiva da raccontarle il finale!) e tutti i libri di fiabe per bambini ai quali arrivavo a tiro (la passione quasi compulsiva per le fiabe mi è rimasta ancora oggi). Ventitré anni di letture clandestine e non (papà negli ultimi anni mi comprava diversi libri all’ingrosso e, udite udite! non li rivendeva!). Finché i miei non andarono in pensione, cedendo il negozio. Ma ormai ero grande e da tempo acquistavo libri e fumetti per conto mio.

Quando sono andata ad abitare da sola, il primo mobile che è stato montato, in casa, è stata la libreria. Una parete intera in camera da letto che ospita i libri di fiabe, i romanzi, i libri di storia dell’Arte, le collezioni di manga giapponesi, Asterix, Tintin, (quella di Dylan Dog l’ho data via anni fa), i fumetti di Dino Battaglia e parte della mia collezione di gufi. Proprio di fronte al mio letto. La stanza piena di libri della mia infanzia.
Non l’ho sognata più.

*Ero davvero una bambina prodigio? Ai miei genitori non importava saperlo. Probabilmente la risposta è no, i bambini a volte sviluppano capacità che ne compensano altre, carenti o mancanti. E comunque, adesso, che importanza può avere? Ad ogni modo, quando ero piccola, avevo l'etichetta di "bambina strana", questo si.
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domenica 12 luglio 2009

Tridimensionale

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La differenza tra chi crea immagini bidimensionali e chi le crea tridimensionali è enorme. Io sono una pittrice. Ho fatto incisione e fotografia all’Accademia. Mi diverto con i programmi di grafica al computer… ma il tridimensionale mi mette in difficoltà.
Non mi vergogno ad ammetterlo, anzi, l’ammirazione che provo verso scultori e architetti (quelli bravi, però!) è enorme.
Ho le mie lacune, del resto non si può saper fare tutto nella vita. Così, quando ho ricevuto la proposta di fare la modella per un ritratto in creta, un mese e mezzo fa, la cosa mi ha entusiasmato, e ho detto subito di si. Lo scultore si chiama Paolo e non ama la pubblicità, perciò non dirò altro di lui… ma ne ho già parlato sul blog.
Paolo è un artista dalle solide basi tecniche, “formazione classica” la chiama lui. Io, devo dire la verità, mi ritengo prima un’insegnante, poi una pittrice, ed ho una formazione tecnica piuttosto frammentaria… per questo motivo sono entusiasta dell’esperienza. Non capita tutti i giorni di poter vedere nascere e formarsi dal nulla, dalla materia informe, una figura, un ritratto. Il PROPRIO ritratto, poi!



Ragazzi, fa un’impressione… posa dopo posa, mi assomiglia sempre un po’ di più, ed è la prima volta che mi capita di guardarmi “girandomi attorno”. Se ci pensate, abbiamo sempre una visione bidimensionale di noi stessi, lo specchio, una foto… persino un video da telecamera ci restituisce un’immagine piatta. Questo, no. È completamente diverso, è un oggetto, e quando mi metto a fotografarlo, all’inizio e alla fine di ogni posa (sono già alla quarta… star seduta per ore è abbastanza pesante, comunque) a girare attorno al piedistallo, la sensazione che provo è stranissima, non si può descrivere.
Le fotografie che pubblico sono della terza /quarta posa. Ancora non sono proprio io… un po’ mi ci riconosco, ma per quanto Paolo sia preciso sono convinta che alla fine sarà una sua interpretazione, come ogni ritratto del resto. Anche la scelta di farmi sorridente è stata sua, io negli autoritratti non mi sono mai dipinta sorridente, forse perché penso che la parte prevalente di me non sia un tipo allegro… quando gliel’ho detto, lui è rimasto un po’ perplesso, ha risposto “Non mi pare… non ti conosco poi tanto!” Alla posa successiva, però, c’era anche Lorena, che è la mia migliore amica ed era venuta con i bambini.
“Lorena, qual è l’espressione che ho più spesso sulla faccia?” le ho chiesto.
“Il sorriso!” mi ha risposto.
“Ovvio, quando sono con te! Sei tu che mi rendi sorridente!”
Ma ormai era fatta… Paolo si è rassicurato. E il ritratto resterà sorridente…

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giovedì 9 luglio 2009

Confessione

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"Caselli d’autostrada tutto il tempo si consuma
Ma Venere riappare sempre fresca dalla schiuma

La foto della scuola non mi assomiglia più

Ma i miei difetti sono tutti intatti

E ogni cicatrice è un autografo di Dio

Nessuno potrà vivere la mia vita al posto mio

Per quanto mi identifichi nel battito di un altro
Sarà sempre attraverso questo cuore
..."


Jovanotti - Mezzogiorno - dall'album Safari

Lo confesso, non mi piaceva Jovanotti. E come avrebbe potuto? Guardate un po' com'era: un esaltato e pure stonato.



Negli anni '80 non gli avrei dato 2 lire. Anche se mi mettevo la maglietta del suo concerto (solo perchè me l'aveva regalata la mia migliore amica, sua grandissima fan... ma non me la sono mai presa con lei per questo!)
Non vi dico i lazzi e i frizzi da parte dei miei compagni di classe, quando la portavo, di solito durante le ore di educazione fisica... in effetti avrei anche potuto risparmiarmelo, di metterla a scuola...

No, non mi piaceva per niente, Jovanotti. Ma sto cambiando idea, e nonostante sia ancora (un po' meno) stonato, confesso che quando ho ascoltato "Mezzogiorno" l'ho trovata, da subito, una canzone bellissima.


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martedì 7 luglio 2009

L’onda

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Hokusai – La grande onda (Il monte Fuji visto da Kanagawa), della serie “Trentasei vedute del monte Fuji) 1826-33 (incisione su legno)

E il vento, e la luna, chiamarono l’onda,
ed essa si mosse, grondando di spuma.
Vagò per il mare, per l’acqua profonda
andò… piccola, crebbe, si fece forte
e mille pesci le andarono incontro,
corse alla riva, incontro alla morte,
se la riprese il mare profondo.


Galleggiò un legno nell’acqua salata…
e sulla spiaggia,
nemmeno un segno
ch’era passata.




Mara Bagatella




Ho scritto questa poesia quando avevo 13 anni. Mi piace moltissimo, e sono contenta, oggi, di poterla pubblicare. Spero che piaccia anche a voi!
:-)


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  Licenza Creative Commons
Questo opera è distribuito con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia.

domenica 5 luglio 2009

Inferno chic

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C’ero già stata, anni fa. E mi ero ripromessa di non andarci più… perciò sapevo cosa mi aspettava. Il locale è molto grande e conosciuto: una discoteca all’aperto con pizzeria e ristorante, gente elegante, enormi padiglioni dalla struttura avveniristica, illuminati con fari luminosi ed altri effetti speciali… anche finché si mangia. Per tutta la settimana avevo cercato una scusa per non andarci, ma purtroppo non sono capace di raccontare bugie, e poi non volevo deludere la mia amica, che tra una settimana si sposa.
Così mi sono vestita e truccata, e sono partita verso i lampi dell’ennesimo temporale all’orizzonte. Sono passata a prendere un’altra amica, che è venuta nonostante un forte raffreddore e un po’ di febbre (e questo è un particolare importante, perché il fatto di doverla portare a casa mi ha permesso di fuggire a mezzanotte, stile Cenerentola) e insieme siamo approdate in mezzo al manipolo di donne in tacchi alti e paillettes che avevano il comune obiettivo di festeggiare un addio al nubilato.
Appena superato il lungo tunnel di rampicanti che conduce al piazzale della discoteca, la sorella della futura sposa mi ha fatto prendere un colpo inciampando sui propri tacchi e aggrappandosi a me. “Cominciamo bene” ho pensato.
Il passaggio obbligatorio successivo è stato l’aperitivo. Erano le dieci di sera, orario in cui di solito io ho già finito di digerire, perciò ero affamata, nervosa e irritabile. In più detesto la calca e, per farla breve, mi è venuto un attacco d’ansia. Ho iniziato a camminare avanti indietro nel piazzale, per fortuna ancora abbastanza vuoto, con un’espressione spaventata di animale in gabbia.
La parte più selvaggia e istintuale di me mi gridava di scappare via ma non potevo. Le altre ragazze se ne sono accorte e mi hanno suggerito di bere al più presto qualcosa di forte…
Invece non ho bevuto molto, alla fine, un po’ perché guidavo io, e un po’ perché il vino non era di buona qualità. Abbiamo mangiato quasi al buio, strette tra un tavolo che festeggiava una Laurea (alle mie spalle), un altro addio al nubilato (di fianco) e un addio al celibato poco più in là. Tutti urlavano, anche perché la serata era animata da un DJ e da musica a tutto volume, perciò era difficile conversare con la persona che ti era seduta accanto. Le uniche persone che mi facevano simpatia erano i buttafuori: omoni in giacca e cravatta, testa rapata e barbetta alla Mastro Lindo, erano gli unici che si potevano permettere un’espressione incazzata stampata in faccia, in quel posto da divertimento a tutti i costi.
La futura sposa, invece, si stava divertendo davvero, e mi faceva tenerezza. Aveva un’espressione talmente radiosa che sembrava tornata bambina. Era bellissima. In fondo, l’addio al nubilato si festeggia una sola volta nella vita…

beh…

… speriamo…
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giovedì 2 luglio 2009

In vacanza

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Cosa fanno le professoresse quando sono in vacanza? Le altre non lo so... io sto cercando di riprendermi il mio tempo e le mie cose. Non è così facile. Oggi ho cercato di riordinare la libreria. Ma sono riuscita a combinare poco o niente. Giravo come imbambolata da una stanza all'altra, con Minni che mi trotterellava accanto. Ho spostato un po' di libri, ho spolverato... Ho raccattato i calzini sparpagliati sul pavimento.
Ho fatto un paio di lavatrici. Ho finalmente lavato anche il plaid arancione... Ma non sono contenta, non so che cos'ho. Il mucchio della biancheria da stirare sta crescendo sempre più. Ovunque mi girassi vedevo disordine e la voglia di riordinare calava. Così sono uscita. Si, ho chiuso la porta, il disordine è rimasto tale e quale. Quello della mia casa e quello nella mia testa. Peccato non poter chiudere la porta anche della mia testa e uscire un po'...

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mercoledì 1 luglio 2009

The love song of J. Alfred Prufrock (X e ultima parte)

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Illustrazione di Arthur Rackham (particolare)

I grow old ... I grow old ...
I shall wear the bottoms of my trousers rolled.

Shall I part my hair behind? Do I dare to eat a peach?
I shall wear white flannel trousers, and walk upon the beach.
I have heard the mermaids singing, each to each.

I do not think that they will sing to me.

I have seen them riding seaward on the waves
Combing the white hair of the waves blown back
When the wind blows the water white and black.
We have lingered in the chambers of the sea
By sea-girls wreathed with seaweed red and brown
Till human voices wake us, and we drown.


Divento vecchio... divento vecchio...
Porterò i pantaloni arrotolati in fondo.


Dividerò i miei capelli sulla nuca? Avrò il coraggio di mangiare una pesca?
Porterò pantaloni di flanella bianca, e camminerò sulla spiaggia.
Ho udito le sirene cantare l'una all'altra.


Non credo che canteranno per me.


Le ho viste al largo cavalcare l'onde
Pettinare la candida chioma dell'onde risospinte:
Quando il vento rigonfia l'acqua bianca e nera.


Ci siamo troppo attardati nelle camere del mare
Con le figlie del mare incoronate d'alghe rosse e brune
Finché le voci umane ci svegliano, e anneghiamo.


T. S. Eliot, "The Love Song of J. Alfred Prufrock" (originally printed in "Poetry", June 1915)


Con questi ultimi versi, termino la serie di post dedicati a T. S. Eliot, o perlomeno quelli dedicati a “The love song…”. Confesso di aver ritardato apposta la pubblicazione della X parte, perché non volevo staccarmi da questa poesia. Ho iniziato a parlarvene che era freddo, vi ricordate la nebbia gialla arrotolata attorno alle case? E termino in estate, con una passeggiata sulla spiaggia, con le sirene incoronate d’alghe.
Questa poesia ha accompagnato i primi mesi di questo blog, traghettandolo da una stagione all’altra.
Devo ammetterlo, mi sono appoggiata ad Eliot come ad una stampella. Perché io, di mio, non lo so se ho da dire qualche cosa di interessante. Se non fosse stato per Massimiliano, che un anno fa mi ha incoraggiata, non avrei ripreso a scrivere poesie, e non avrei mai aperto questo blog.
Invece, in questi ultimi mesi mi sono resa conto che il sentimento di inadeguatezza è molto diffuso. Persino Eliot lo ha provato, ha sperimentato la solitudine, la depressione e l’esaurimento. Ma ne ha tratto dei capolavori. Talvolta la grandezza dell’essere umano risiede proprio nella sua fragilità.
Ho aperto questo blog per diversi motivi: per condividere qualcosa di me, per gettare via qualcosa di vecchio, per creare qualcosa di nuovo. A volte mi sembra che sia poco.
Ad Eliot sembrerebbe inconsistente, lo so.
Internet.
Mi sto attardando troppo nelle camere del mare? È troppo virtuale questa casa sulle zampe di gallina? Sto troppo sognando? E voi? Voi, al di là di questo schermo azzurro, ognuno seduto dietro il proprio schermo azzurro… siete reali? Vi sto soltanto sognando?


Oh, ma io non sarò Prufrock… sarò una sirena.
E, anche se mi sveglierete, non annegherò.
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