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Quando siamo diventate amiche, tu avevi diciassette anni, io ventidue, e mi sembrava di essere tanto più vecchia di te… che presunzione sciocca! Ci siamo scritte tante di quelle lettere! Ti ricordi?
Io mi ricordo di come eri tu: un’adolescente ribelle, testarda, in crisi, arrabbiata per la maggior parte del tempo, ma piena di sogni e di speranze. Avevi un carattere poco comune: sensibile, contorta, incompresa… o era l’età?
Ma noi due ci capivamo, vedevamo l’una nell’altra la stessa forza e la stessa fragilità. Ci raccontavamo delle nostre delusioni, delle nostre paure, i rapporti tesi con i genitori, gli amori non ricambiati, le lacrime, l’ansia… eppure quanto abbiamo riso insieme!
E delle stesse cose: delle delusioni, delle paure, dei nostri genitori, degli amori non ricambiati, delle lacrime e dell’ansia. Tu eri un fiore selvatico che sbocciava, che non riusciva a vedere la propria bellezza, ma aveva l’intelligenza di prendere i propri difetti con ironia. E anche i miei. Per entrambe era un periodo difficile, e la nostra amicizia era un raggio di sole nel buio.
Poi hai deciso di finirla lì. Come se tutto fosse stato soltanto un esperimento. Ed io ti ho lasciata andare senza proteste, perché sapevo bene che quando decidevi una cosa, era quella. Ci siamo spartite le lettere, metà per una. Le mie le ho legate con un nastro rosso e messe in fondo a un cassetto.
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E poi ti ho rivista, un mese fa.
“Ciao, Mara! Come stai? Da quanto tempo non ci vediamo!”
Se non mi avessi salutata, non ti avrei riconosciuta. Sposata, tre figli, ingrassata… ma non è stato per l’aspetto fisico… qualcosa nel tono cortese e stereotipato della tua voce mi ha dato i brividi. Dove è finita la ragazza dalla lingua tagliente, dai giudizi lucidi e impietosi, che non accettava compromessi?
Quella che avevo davanti era una signora perbene, normale, inquadrata nel proprio ruolo. E non ci sarebbe stato nulla di male se io non avessi saputo com’eri davvero, tu.
Ho balbettato una risposta qualunque, con tono acido, non mi sono comportata in modo educato, lo so. Quasi automaticamente, entrambe ci siamo spostate verso gli angoli opposti del negozio; hai sentito anche tu quello che ho sentito io? Quel dolore sordo e insistente che da ragazza ti diceva: “sei viva”? hai rivisto quella che eri e che amavo e che porto sempre con me?
Ho fatto le mie compere e me ne sono andata, salutando in fretta, chiedendomi quando, e in cambio di che cosa, avevi barattato il fuoco che era dentro di te.
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E' incredibile a volte come cambia la gente. Ce l'hai in mente in un certo modo, poi invece ti ritrovi davanti una persona diversa e non può che essere delusione. E' successo anche a me..
RispondiEliminaGià, ma qui non si tratta di un semplice cambiamento, come quelli che opera il tempo, inevitabilmente, su ognuno di noi. Si tratta di rinunciare volutamente a un pezzo di sè, pur di essere accettati in certi ambienti, da certe persone. Spesso non è altro che la paura di essere soli o di essere considerati "diversi" che ci fa agire così, e l'adolescenza è il momento più a rischio per la perdita di ciò che io chiamo il "fuoco".
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