sabato 23 maggio 2009

The love song of J. Alfred Prufrock (parte VII)



And the afternoon, the evening, sleeps so peacefully!
Smoothed by long fingers,

Asleep ... tired ... or it malingers,

Stretched on the floor, here beside you and me.

Should I, after tea and cakes and ices,

Have the strength to force the moment to its crisis?

But though I have wept and fasted, wept and prayed,

Though I have seen my head (grown slightly bald)
brought in upon a platter,

I am no prophet--and here's no great matter;

I have seen the moment of my greatness flicker,

And I have seen the eternal Footman hold my coat, and snicker,

And in short, I was afraid.


E il pomeriggio, la sera, dorme così tranquillamente!
Lisciata da lunghe dita,

Addormentata... stanca... o gioca a fare la malata,

Sdraiata sul pavimento, qui fra te e me.

Potrei, dopo il tè e le paste e i gelati,

Aver la forza di forzare il momento alla sua crisi?
Ma sebbene abbia pianto e digiunato, pianto e pregato,
Sebbene abbia visto il mio capo (che comincia un po' a perdere i capelli)

Portato su un vassoio,

Io non sono un profeta - e non ha molta importanza;

Ho visto vacillare il momento della mia grandezza,

E ho visto l'eterno Lacchè reggere il mio soprabito ghignando,

E a farla breve, ne ho avuto paura.

… e chi non ne avrebbe paura? Della Morte, dico.
Quelli che non ci pensano mai?
Ah, no, quelle sono le persone che la temono di più.

Questa è la parte più difficile da commentare per me, e ci ho dovuto pensare tanto. Eliot cita un profeta, S. Giovanni Battista: per chi non se lo ricorda, è il Precursore, la Voce che grida nel deserto, l’ultimo Profeta dell’Antico Testamento. Fu decapitato da Erode su richiesta di una donna, Salomè.
Un uomo coraggioso, che affrontò la morte per le sue idee.
Prufrock, invece, non è un Profeta, così dice, e la Morte non ha il coraggio nemmeno di nominarla, la chiama “l’eterno Lacchè”, ammettendo senza mezzi termini di averne paura.

Ma non è vero che Prufrock non sia un profeta. Lo è, fin dall’inizio della poesia, fin dalla citazione del XXVII Canto dell’Inferno:

“S'io credesse che mia risposta fosse
A persona che mai tornasse al mondo,

Questa fiamma staria senza più scosse.

Ma perciocché giammai di questa fondo
Non tornò vivo alcun, s'i' odo il vero,
Senza tema d'infamia ti rispondo.”


Eliot era un grande ammiratore e studioso di Dante Alighieri, e questa citazione della Divina Commedia è la chiave per capire il senso dell’intera poesia.
Sono parole di un dannato, Guido di Montefeltro, che Dante Alighieri colloca nel girone dei consiglieri fraudolenti, arso da una fiamma per l’eternità. Interrogato da Dante, Guido gli risponde, ma soltanto perché è convinto di parlare ad un defunto, come lui, uno che non può tornare a riferire nulla nel mondo dei vivi.
La stessa cosa fa Prufrock, che parla, parla, ma a chi? Sembra che parli a se stesso, convinto che a nessuno interessi la sua esperienza di vita, così arida, che nessuno ascolti la sua profezia sussurrata.
Prufrock, infatti, ha paura della Morte perché non ha mai vissuto. La sua vita è stata un susseguirsi di giorni consumati come mozziconi di sigaretta, misurati con cucchiaini da caffè. Nel momento in cui se ne rende conto, pensa che ormai sia troppo tardi per rimediare.

Mentre la sera arriva, stanca, così dolcemente pigra, lui non ha la forza di abbandonare le sue abitudini, di mettersi in crisi… ma questo non ha molta importanza, perché la crisi non chiede il permesso di arrivare, ed è già lì.

E ha trasformato Prufrock in un Profeta, volente o nolente…
Un Profeta che ci sta dicendo: “non fate come me”, ma lo dice piano, borbottando, convinto che, tanto, non lo ascolterà nessuno.

Si può dargli torto?

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