giovedì 16 luglio 2009
Un libro per l’estate (1)
Ve le ricordate le liste di libri dei quali vi veniva “consigliata” la lettura durante le vacanze estive, quando andavate a scuola? Le avete mai prese davvero in considerazione?
Ho sempre avuto un rapporto particolare con la lettura, fin da piccolissima. Intorno ai quattro anni e mezzo, i miei genitori si accorsero che sapevo leggere. Come avevo imparato? Da quanto tempo lo sapevo fare? Non si sa, all’epoca non andavo nemmeno alla Scuola Materna. Pochissimo tempo dopo, i miei si accorsero anche di un altro fatto, assai più sgradevole: non ci vedevo. Ero miope, molto miope, a cinque anni già portavo gli occhiali, e la miopia progrediva di anno in anno in maniera preoccupante. Così, dato che, se avessi potuto, avrei passato tutto il mio tempo chinata su qualunque pagina scritta avessi trovato, i libri sparirono da casa mia, né vi entravano riviste o giornali di nessun tipo. La mia salute era in pericolo, e i miei genitori erano decisi a difenderla ad ogni costo, che io potessi essere potenzialmente una specie di “bambina prodigio”* a loro non importava.
Ai miei genitori piaceva leggere, la prima enciclopedia per bambini, i mitici “Quindici” l’acquistarono a rate alla nascita di mio fratello Fausto, io avevo appena venti mesi. Ce l’hanno ancora, sgualcita e malconcia, visibilmente vissuta, a portata di mano dei miei nipoti e di qualunque altro bambino che arrivi a casa. A me, però, rimase preclusa per anni, e pur di leggere mi accontentavo dell’Enciclopedia Medica, della quale, però, ammetto di non aver mai capito un granché (a parte le pagine riguardanti l’apparato scheletrico e quelle sulla gravidanza, quando in famiglia si aspettava il terzo fratellino, le altre non mi interessavano).
Ogni tanto, mi capitava di fare un sogno, bellissimo e frustrante, in cui mi trovavo all’interno di una stanza piena zeppa di libri e fumetti ed erano tutti per me. Ma non riuscivo a leggerne nemmeno uno, e sul più bello mi svegliavo.
Nelle lunghe, noiose, estenuanti domeniche di visita ai parenti, le uniche cose che trovavo da leggere erano “Famiglia Cristiana” e il calendario di Frate Indovino (che adoravo, perché coloratissimo e pieno di disegni). Per fortuna, c’era la casa della zia Maria. La mamma ci portava spesso in quella casa, perché era una fattoria, c’erano le mucche, le galline, il caminetto acceso d’inverno, i gatti solitari, i poco socievoli cani da caccia, e campi e prati in cui correre e alberi su cui arrampicarsi. Ma io ero imbranata, fisicamente impedita e preferivo imboscarmi a leggere i fotoromanzi collezionati dalle mie cugine più grandi. Sdolcinate storie d’amore immortalate in fotografie in bianco e nero sicuramente poco adatte alla mia età. Scatoloni interi. E poi la rivista “Cioè” (ma esiste ancora?) tutta cuoricini rosa, e ancor più caramellose storielle di amori adolescenziali, che sicuramente io, chiusa a leggere negli sgabuzzini delle scope, avrei tardato, e di molto, a vivere in prima persona (ma in terza di copertina c’erano anche le strisce di Lupo Alberto, su “Cioè”!). E poi il “Giornalino”, pubblicazione parrocchiale per ragazzi, su cui ho scoperto Asterix, il Gargantua di Dino Battaglia (anche se non sapevo ancora chi fosse) e “Pon Pon” di Luciano Bottaro.
Era il mio paradiso personale, dal quale potevo essere scacciata in qualsiasi momento, non appena un parente (zio, zia, padre, madre, cugino/a più grande) mi avesse scoperta. (“Fuori! A giocare!”)
Leggere per me era proibito, perciò la lettura divenne la mia ossessione. Il primo giorno di scuola, quando la mamma tirava fuori dall’armadio il libro di lettura, tenuto lungamente nascosto, io, di nascosto, l’avevo già letto tutto. Va da sé che a scuola mi annoiavo.
In realtà, credo fosse un rifugio. Gli occhiali, brutti e fragili, che avevo paura di rompere, i frequenti malanni, il fisico gracile, non facevano di me un’ambita compagna di giochi. In più, avevo un caratteraccio. Orgogliosa oltre ogni dire, piuttosto che subire un rifiuto, mi isolavo dagli altri bambini, non chiedevo mai “posso giocare?”, preferivo tuffarmi in un mondo di immagini e parole.
Facevo la Prima Media quando i miei rilevarono una vecchia cartolibreria. Iniziò un nuovo periodo di “lettura di contrabbando”. Prendere un libro, leggerlo in fretta, maneggiandolo con tutta la delicatezza possibile per non rovinarlo, rimetterlo nello scaffale, prenderne un altro. I miei genitori, oramai, non mi sgridavano più, un po’ perché non se ne accorgevano, un po’ perché lo facevano anche loro (più tardi venni a sapere che anche mia madre era stata una bambina che leggeva di nascosto). Ricordo in particolare un’intera notte passata in bianco (facevo le Superiori, ma che anno era?) a leggere “Il richiamo della foresta” (versione integrale) libro ordinato da un cliente che sarebbe venuto a prenderlo il giorno dopo. Dovevo finirlo. Assolutamente.
Anche in Biblioteca ci andavo di nascosto e con l’aria di una cospiratrice. Shakespeare. Romeo e Giulietta. Sogno di una notte di mezza estate. Amleto… Goldoni. Tutta la saga di Re Artù e la ricerca del Graal. Le Mille e una Notte. Non riesco a ricordarli tutti. Dal negozio dei miei invece (che era come un’altra biblioteca, alla quale bisognava restituire i libri, quasi sempre) i gialli di Agatha Christie, i libri di De Mello, Isabel Allende (prima li leggeva mia madre, o durante, dato che io leggo più velocemente di lei, glieli sottraevo a metà lettura. Ma non ero così cattiva da raccontarle il finale!) e tutti i libri di fiabe per bambini ai quali arrivavo a tiro (la passione quasi compulsiva per le fiabe mi è rimasta ancora oggi). Ventitré anni di letture clandestine e non (papà negli ultimi anni mi comprava diversi libri all’ingrosso e, udite udite! non li rivendeva!). Finché i miei non andarono in pensione, cedendo il negozio. Ma ormai ero grande e da tempo acquistavo libri e fumetti per conto mio.
Quando sono andata ad abitare da sola, il primo mobile che è stato montato, in casa, è stata la libreria. Una parete intera in camera da letto che ospita i libri di fiabe, i romanzi, i libri di storia dell’Arte, le collezioni di manga giapponesi, Asterix, Tintin, (quella di Dylan Dog l’ho data via anni fa), i fumetti di Dino Battaglia e parte della mia collezione di gufi. Proprio di fronte al mio letto. La stanza piena di libri della mia infanzia.
Non l’ho sognata più.
*Ero davvero una bambina prodigio? Ai miei genitori non importava saperlo. Probabilmente la risposta è no, i bambini a volte sviluppano capacità che ne compensano altre, carenti o mancanti. E comunque, adesso, che importanza può avere? Ad ogni modo, quando ero piccola, avevo l'etichetta di "bambina strana", questo si.
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"Cioé" esiste ancora... non chiedermi perché lo so!
RispondiEliminamassimiliano
... non ho parole!!! riesci sempre a stupirmi!!!
RispondiElimina:-)))