sabato 14 novembre 2020

Cuore di Strega

Dopo una lunga pausa, riprendo ad utilizzare questo Blog per un motivo ben preciso: ho iniziato a scrivere un libro. Sì, questa volta non si tratta di un breve post o di una poesia, ma di un libro vero e proprio, con prefazione, capitoli e tutto il resto. L'idea mi girava in testa da tempo, ma probabilmente sarebbe rimasto l'ennesimo sogno nel cassetto non fosse stato per la pandemia da Covid-19 che mi ha costretta a rimanere a casa e a riorganizzare il mio tempo.

Non è comunque facile, per una persona incostante come me, prendersi un tale impegno e proprio per evitare di lasciare questo lavoro a metà, ho deciso di condividerlo. 

So che, pubblicandone un pezzo alla volta sul mio Blog, sto implicitamente facendo una promessa ai miei lettori, tanti o pochi che siano: quella di proseguire il lavoro, di non arrendermi alle difficoltà di mettere una parola dopo l'altra, un pensiero dopo l'altro.

Mi impegno anche a rileggere, a correggere, a limare il mio lavoro per non gettarvi ai piedi un cencio, ma per porgervi un ricamo rifinito nel miglior modo possibile.

Spero di ricevere dei feedback, perché ne ho estremo bisogno: sono molto sola e isolata in questo periodo e ho fame e sete di dialoghi che non vertano sempre e solo su contagi, zone rosse, arancioni e gialle, sui mille problemi che stiamo attraversando come società a causa di questa pandemia.

Perciò, vi prego, commentate, chiedete, criticate (con gentilezza) e ne sarò felice.

Inizio oggi e mi sforzerò di pubblicare settimanalmente.

Buona lettura!



CUORE DI STREGA

Di Mara Bagatella

INTRODUZIONE

Le streghe ci sono sempre state e non passeranno mai di moda. Sono il simbolo imperituro di una femminilità selvaggia e indomabile, di un’intelligenza irrazionale e irragionevole, di una conoscenza altra.

Quella della strega è un’immagine potente, radicata nella storia dell’umanità fin dai suoi più remoti inizi. Incute timore, desiderio e ostilità da millenni ed è legata a doppio filo a un solo genere, quello femminile: non fatevi ingannare dalle rivisitazioni moderne alla “Harry Potter”, maghi barbuti e bacchette magiche vanno bene solo nei film e nelle serie TV.

Il potere e la conoscenza delle streghe risiedono nel corpo femminile e in particolare nel basso ventre, discendono dalle antiche divinità femminili venerate in epoca preistorica come portatrici e custodi dei passaggi tra vita, morte e nuova vita.

Temute, venerate, invocate, disprezzate, ostracizzate, bruciate e infine banalizzate e ridicolizzate, ma mai dimenticate.

Sì, come simbolo esse sono immortali. Ma come esseri umani? Sono mai esistite davvero? Vivono ancora tra noi, oggi? E se sì, che aspetto hanno? Dove si nascondono? Come si comportano e come possiamo riconoscerle?

Delle altre non posso dire, ma se siete curiosi di conoscere il cuore di una strega, fate attenzione, perché sto per aprirvi il mio.


GRANDINE

Io credo che streghe ci si nasca, ma riconoscersi tali nel corso della propria vita è un’impresa ardua.

Sono nata in un pomeriggio d’estate. Quando mia madre entrò in ospedale, con un pancione esagerato anche per una puerpera al nono mese, il medico la canzonò, chiedendole se avesse mangiato troppa anguria. In effetti, quella era un’estate particolarmente calda e lei di anguria ne aveva mangiata parecchia; erano gli anni Settanta, non c’erano condizionatori all’epoca e i modi per trovare refrigerio erano pochi.

I miei vivevano in un grande condominio grigio, accanto alla fabbrica dove lavorava mio padre. Le stanze piccole, la cucina di fòrmica; il terrazzo adiacente a quello dei vicini, le scale buie e il cemento caldo e polveroso: mia madre era una ragazza di campagna e quell’appartamento in cui aveva trascorso la sua prima gravidanza doveva esserle sembrato una prigione.

La sera, però, c’erano i baracchini dove si potevano mangiare le angurie, lungo le strade: le “anguriare” con i tavoli di legno e le panche, e le lampadine tutt’attorno che richiamavano sciami di zanzare. La gente usciva e si rinfrescava così, attorno a un tavolo coperto di plastica che subito diventava appiccicoso di succo rosso e semini neri, accanto alle bacinelle piene d’acqua in cui galleggiavano i frutti verdi e lucidi, grandi da far spalancare gli occhi ai bambini. Tutti si fermavano alle anguriare, d’estate, perché le angurie piacevano a tutti; e mia mamma, sicuro, ne aveva mangiate, sulle panche di legno lungo la strada e sul terrazzo caldo di cemento, per cercare un po’ di ristoro mentre la sua pancia cresceva sempre di più nel caldo soffocante di luglio.

Mentre nascevo, scoppiò un furibondo temporale: uno di quei terribili temporali estivi tanto attesi quanto temuti, che portano refrigerio e flagellano la vegetazione. Era tanto forte che mia madre lo sentì, nonostante i lancinanti dolori del suo primo parto assorbissero in quel momento tutta la sua attenzione; durante la mia infanzia mi raccontò spesso di quel temporale.

Ogni volta che ne arrivava uno e io restavo, atterrita e affascinata, a guardare dalla finestra la pioggia che sferzava gli orti e i tronchi degli alberi piegati dal vento mi diceva: quando sei nata c’era un tempo così.

Tra le antiche rune, ce n’è una che si chiama Hagalaz e si disegna con due aste verticali unite tra loro da una linea obliqua che scende da sinistra verso destra, come una via di mezzo tra una H e una N. Il suo significato è “grandine”. È la runa della creazione e della trasformazione e porta con sé un presagio simile a quelli della Torre e della Morte nei Tarocchi, mescolati insieme: presagi apparentemente funesti per chi non ha confidenza con il simbolismo della Divinazione. La Torre significa “crisi”, in tutte le possibili declinazioni di significato che può assumere questa parola; la carta della Morte indica qualcosa che deve finire per permettere ad altro di iniziare. Hagalaz indica un cambiamento e una rinascita attraverso una crisi; forze incontrollate, ira della natura, la frustrazione che si prova quando si cerca di comprendere qualcosa di più grande di noi, tutti gli ostacoli da superare prima di giungere alla completezza e all’armonia interiore.

E così io nacqui sotto il segno della grandine, che è uno di quei segni che, potendo, non sceglieresti mai. Eppure, nonostante la forza distruttiva che reca con sé, Hagalaz non ha un significato così negativo, poiché la grandine poi si scioglie e diventa acqua che disseta e porta sollievo alla terra riarsa dal troppo sole. Un vecchio detto contadino recita: “Par el seco, xe bona anca la tempesta”, quando c’è siccità ci si accontenta anche della grandine, che poi è pure un modo di constatare come, in varie occasioni della vita, ci si accontenti anche di qualcosa di poco appetibile, piuttosto di niente.

Dopo essere nata, piansi, come fa ogni bambino, e fin qui, tutto normale.

Solo che io continuai a farlo, quasi ininterrottamente, per i due anni successivi.

Piangevo di notte, piangevo di giorno, non dormivo quasi mai, per la disperazione dei miei genitori. Mi portavano dal pediatra per capire cosa avessi, ma senza risultato: pareva proprio che fossi sana come un pesce. Mangiavo e crescevo normalmente, tuttavia non smettevo di piangere. Il pianto rimase una costante nella mia vita per molti anni a venire: per tutta l’infanzia, l’adolescenza e gran parte della mia vita adulta, ho avuto la lacrima facile, tanto che mio padre me lo scrisse perfino su un bigliettino natalizio che accompagnava il mio regalo verso i sei, sette anni:

“Cara, brava e buona,

butta via la lacrimetta

e sarai una bambina

quasi perfetta”

firmato: Babbo Natale

 

Ma io non potevo rinunciare alle mie lacrime, né sarei mai stata la bimba perfetta che mio padre sognava, anche se allora non potevo saperlo, né capirlo. Quella che usciva dai miei occhi era la grandine divenuta acqua, era la pena che provavo verso tutto il dolore e il male del mondo; l’unico dono che avrei mai potuto fare di me, perché quel pomeriggio d’estate, nell’inconsapevolezza di tutti, me compresa, era nata una strega, con il cuore perennemente in tempesta e che avrebbe per sempre detestato le angurie.


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