Il Viaggiatore arrivò per sbaglio. La luce era accesa nella sede del Partito, e lui pensò che ci fosse una riunione in corso. Una riunione c’era, in verità, ma era quella di un gruppo culturale apartitico, che si incontrava nella stessa sede, il lunedì sera. Il gruppo, essendo piuttosto squattrinato, non aveva soldi per una propria targhetta di metallo: di solito, durante le riunioni, un cartello plastificato veniva attaccato con lo scotch a coprire quella del Partito, e poi tolto a fine serata.
Il compito di appendere il cartello spettava a me, ma quella sera ero sfinita, dopo una giornata di esami, e me n’ero dimenticata.
Il Viaggiatore era un signore anziano, ma ancora pieno di energie. Capelli bianchi e un gran pancione rotondo che metteva a dura prova i bottoni della camicia. Ci rimase male nell’accorgersi di aver sbagliato gruppo, probabilmente aveva solo voglia di fare quattro chiacchiere con qualcuno. Fu Dario a salvare la situazione, invitandolo a restare e mettendosi a parlare con lui, mentre Andrea, Simone, Giordano ed io, cercavamo di continuare la nostra analisi sulla raccolta differenziata dei rifiuti.
Ero stanchissima e facevo fatica a concentrarmi, la voce forte del Viaggiatore mi infastidiva. Pensavo che avevo fatto un grosso sacrificio a recarmi comunque alla riunione quella sera, e anche Giordano aveva fatto tanta strada per venire a parlare con noi. Perciò non volevo perdere tempo. Volevo a tutti i costi fare il punto della situazione riguardo l’argomento all'ordine del giorno.
Invece, ad un tratto, l’attenzione di tutti si spostò di nuovo sul Viaggiatore. Stava parlando della situazione in Iran e di politica internazionale. Fu quando ci raccontò di aver conosciuto personalmente degli Iraniani che il discorso si fece interessante.
“Gli Iraniani che possono permettersi di studiare sono persone molto colte, con le quali si può parlare di tutto.” Venne fuori che lui aveva viaggiato parecchio nei paesi Arabi, per lavoro, che era stato in Egitto, Siria, Giordania, e in altri posti che ora non ricordo. Iniziò un lungo racconto descrivendo luoghi e modi di vivere, e puntando l’attenzione soprattutto sulla condizione della donna in quei Paesi. Avevo le palpebre che mi si abbassavano, ma era troppo interessante. Ho letto dei libri, sull’argomento, ma non è come sentir raccontare qualcuno che ha visto con i propri occhi.
“Ci sono molte differenze tra un Paese e l’altro, e in certi posti puoi vedere donne con il burka che camminano accanto ad altre vestite all’occidentale.”
Mi impressionai soprattutto al racconto dell’incontro del Viaggiatore con una bambina, che lui aveva aiutato a spingere un carretto più grande di lei, tra la riprovazione generale della gente per strada.
“Le abituano fin da piccole ad essere maltrattate, perché se si dovessero ribellare quando sono date in mogli, sarebbe una vergogna per tutta la famiglia.”
Il Viaggiatore aveva una gran parlantina, sembrava inarrestabile, come un fiume in piena. Ad un certo punto raccontò del velo e di come in certi posti solo al padre e al marito di una donna sia consentito vederla a testa scoperta. I ragazzi si voltarono tutti verso di me, che istintivamente mi stavo passando una mano tra i capelli. Per una frazione di secondo ebbi la percezione di non aver mai tenuto in sufficiente considerazione il potenziale erotico che potevano avere.
E poi, il Viaggiatore disse:
“In certi posti nascere donna è una disgrazia così grande che l’unica cosa che potresti fare è lavorare tanto, comprarti una pistola e poi spararti, perché non c’è modo di venirne fuori.”
Io non facevo commenti e non mi guardavo intorno. Nel mio gruppo le donne sono pochissime, e quella sera, come succede spesso, ero l’unica donna presente. Neanche i ragazzi parlavano molto.
Non so se il Viaggiatore colse qualcosa nel mio sguardo, perché a quel punto cercò di ammorbidire l’argomento con una battuta:
“Qua in Italia, invece, secondo gli uomini, le donne comandavano già quando erano considerate inferiori, figuriamoci adesso che hanno la parità!”
Simone, allora, voltandosi verso di me disse:
“Del resto, sono le donne ad avere la chiavetta della felicità.”
Io avevo la testa immersa nella nebbia per la stanchezza. Non mi veniva proprio niente da ribattere. Così, battei il palmo della mano sul tavolo e dichiarai:
“Bene, dal momento che qui dentro l’unica ad avere la chiavetta della felicità sono io, adesso chiudiamo la riunione e andiamo a casa, perché ho sonno.”
Tutti i miei uomini si alzarono e uscimmo dalla stanza. Simone si fece da parte per lasciarmi passare per prima. Andrea chiuse la porta, perché le chiavi della sede, quelle, le ha lui.
...
Hai fatto bene ! Eppoi la chiavetta fa troppo Simmenthal !
RispondiEliminaio o una chiave tanta!
RispondiEliminaBella l'idea della chiavetta... mi sa di chiavetta usb.. la metti nel pc, con quel suo "plin!" particolare e scarichi il programma della felicità! Carino!
RispondiEliminaMah... non saprei. Le donne sono definite in tanti modi. Non tutti gentili. Io volevo più che altro puntare l'attenzione sulle differenze tra un modo e l'altro. O tra un mondo e l'altro...
RispondiEliminaLa "chiavetta della felicità" è un modo per definire la sessualità femminile. Ma ci sono dei luoghi in cui non è per nulla facile essere donne, e quella "chiavetta" non porta affatto felicità.
E poi, un'altra cosa che mi è venuta in mente è che possedere la chiave significa avere una responsabilità...
posso usare la tua foto molto significativa nel mio blog?
RispondiEliminaAhem... a dire la verità l'ho "rubata" anch'io... Forse dovrei ricordarmi di scriverlo quando prendo le foto dal Web...
RispondiElimina:-P
uomo donna donna uomo uomo donna uomo donna donna uomo uoma donno, boh... la chiave... credevo fosse un'allusione più che altro alla sessualità maschile, almeno così, figurativamente! e comunque da sola non funzia: anche una chiave usb, se non ha la porta usb non funziona! mah! esattamente come le "rondini di kabul", senza uomini umani, non possono essere felici e non possono fare la felicità di nessuno. in questo condivido pienamente...
RispondiEliminaAhem...se è così "approfitto"pure io.Voglio metterla sopra una mini poesia dedicata alle donne afgane, tratta dal mio libro"i fichi di ottobre". grazie Mara,
RispondiEliminabuon fine settimana.
Nel mio post le donne sono il "brand" più richiesto!
RispondiEliminaClelia
@ Clelia: Che meraviglia... i post in inglese!!! Piacerebbe anche a me... Ah, che peccato essere così ignorante!
RispondiElimina@ Massi: è vero, la chiave come simbolo della sessualità femminile e non maschile ha colpito anche me. Ha qualcosa di "magico" e di potente, come simbolo, la chiave. Spesso ho l'impressione che nel corso della Storia, e ancora oggi, in molte culture, la donna sia schiacciata perchè si ha paura di questo potere.
In cosa consista... beh, sbizzarritevi pure, cari lettori! Io ho solo dato il "la".