domenica 13 dicembre 2020

Cuore di Strega 7 - Premonizioni

 

SETTIMA  parte del libro che sto scrivendo. Se vi siete persi l'inizio, vi invito a leggere la storia dal principio, iniziando dalla prima parte, che potrete visualizzare cliccando sul link qui sotto:

Cuore di Strega 1

Se invece vi va di leggere su Wattpad, dove sono arrivata a pubblicare 11 parti, questo è il link:

Cuore di Strega su Wattpad



Premonizioni

Da quel momento, il mio rapporto con i sogni cambiò. Decisi che valeva la pena prenderli un po’ più sul serio, anche se la mia parte più razionale si ribellava all’idea di essere diventata una specie di profetessa onirica. Certo, l’episodio che mi era capitato aveva un ché di inquietante, ma poteva anche essere frutto del caso; perciò, decisi di fare qualcosa che apparentemente ha dell’assurdo: applicare il metodo scientifico ad un campo che di scientifico ha ben poco.

Iniziai a trascrivere i miei sogni, a studiarne i simboli e a rileggerli a distanza di giorni, mesi e anche anni, per capire se davvero ci fosse in essi qualche significato che non riguardasse soltanto me. A testimonianza di ciò, ho in casa diversi raccoglitori pieni zeppi di trascrizioni di sogni, molti dei quali estremamente dettagliati. Per un certo periodo, li raccontai via e-mail ad un’amica, che me ne dava una propria interpretazione: avere un punto di vista esterno sulle mie visioni oniriche mi aiutò molto, all’inizio, a districarmi in quella fitta rete di immagini simboliche: la casa, l’acqua, il cimitero, i bambini, il labirinto, il rospo, la gravidanza, erano soltanto alcuni degli elementi che comparivano nei miei sogni. Man mano che li trascrivevo li ricordavo sempre meglio e diventava sempre più impegnativo e complesso il mio lavoro di trascrizione, finché, dopo anni, mi resi conto che stavo passando più tempo ad osservare i miei sogni che a vivere la mia vita: fu questa constatazione a farmi smettere.

Tra i trenta e i trentatré anni, la mia vita si era fatta molto frenetica: dopo un periodo da disoccupata, avevo finalmente iniziato a lavorare, scoprendo che fare l’insegnante, il mestiere che avevo desiderato esercitare fin da bambina, era molto più impegnativo di quanto avessi creduto, specialmente perché ero alle prime armi e dovevo ancora costruirmi un metodo; nonostante questo, ne ero entusiasta e mi ci applicavo con tutte le mie forze. Era la vita privata a non soddisfarmi. Mi ero sempre immaginata a trent’anni sposata e con dei figli, ma in amore stavo collezionando un fallimento dopo l’altro. Ero molto stressata e i punti di riferimento che avevo avuto fino ad allora si stavano sgretolando uno ad uno. Avevo bisogno di capire chi ero e la mia convinzione era che la risposta stesse da qualche parte dentro di me.

Alla fine del mese di novembre del 2003, feci questi due sogni: nel primo, indossavo una bella collana di corallo, ma poi ne trovavo un'altra ancora più bella: aveva perle rosse e grigie e me la provavo, ma poi mi ritrovavo con addosso un'altra collana ancora e tutte e tre si ingarbugliavano attorno al mio collo e non riuscivo più a toglierle.

Nel successivo, vedevo mia zia con in mano un grande sacco di plastica trasparente, pieno di pesci rossi e grigi. Anche se il sacchetto era grande, i pesci erano troppi, alcuni erano morti, asfissiati nella calca, altri cadevano fuori dal sacchetto, per terra, e venivano calpestati.

Interpretai le perle rosse e grigie ed i pesci degli stessi colori come i miei impegni che si accavallavano e si ingarbugliavano fino a soffocarmi. L’anno successivo, nello stesso periodo, rifeci lo stesso sogno delle collane, quasi identico: ne indossavo troppe, finivano per stringermi il collo e non riuscivo più a levarmele.

Interpretare questo genere di sogni non era difficile: riguardavano i miei stati d’animo, le paure, i desideri oppure il mio stato di salute. Ma ero anche sempre all’erta per individuare un altro tipo di visioni notturne, più sfuggenti e rare: quelle che avrebbero potuto arrivare da qualche luogo “altro” e che, se fossi stata in grado di afferrarle, mi avrebbero svelato qualcosa che non stava all’interno di me stessa, ma al di fuori.

E un giorno arrivarono. Ma non mi portarono alcuna gioia.

Sognai per due volte nella stessa settimana un amico che non vedevo da tanto tempo; in entrambi i sogni lui non stava bene. In particolare mi rimase impresso che in uno dei due sogni lui aveva i capelli tutti bianchi e un’aria stanca, da vecchio. Trascrissi i due sogni come al solito, senza dare a questa cosa un peso eccessivo, finché, circa un mese dopo, mia madre si ricordò all’improvviso di averlo visto: era entrato nel nostro negozio per acquistare qualcosa e mi aveva mandata a salutare.

“Quanto tempo è passato?” le chiesi, allarmata.

“Mah, non so… qualche settimana, forse un mese. E, sai una cosa? Non stava per niente bene, secondo me. Aveva un’aria malata.”

Nei giorni successivi, misi in campo tutte le mie risorse per scoprire cosa gli fosse successo, senza dire a nessuno cosa avevo sognato. Riuscii a contattarlo per vie traverse e ci volle un po’ di tempo per venire a sapere che era effettivamente malato ed in maniera grave, per giunta.

Ci eravamo voluti molto bene, un tempo, ma erano anni che non ci sentivamo più. Non ci eravamo lasciati in buoni rapporti e mi ci volle molto tempo, tatto e pazienza per riallacciare un minimo contatto con lui. Quando ci riuscii, mi raccontò della sua malattia, di come si era manifestata e di come lui cercasse di tenerla nascosta, soprattutto sul lavoro: era ambizioso e sapeva bene che un male come quello gli avrebbe stroncato ogni possibilità di fare carriera. Provai a fargli notare che la vita e la salute valevano molto di più del successo lavorativo, ma lui era troppo testardo; del resto era stata proprio quella sua caratteristica ad allontanarci.

Qualche tempo dopo, si sposò. Negli anni continuai a vegliare su di lui da lontano, ci sentivamo per telefono, via mail o con qualche sms. La sua vita proseguiva, la sua salute peggiorava, lui continuava a fare viaggi all’estero per la ditta in cui lavorava, senza sosta. Ebbe un figlio, poi un altro. Era entrato in dialisi. Avevo smesso di cercare di convincerlo a riguardarsi. Se non lo faceva per sua moglie ed i suoi figli, non lo avrebbe certo fatto per me.

Mi tormentavo, mentre ancora continuavo a trascrivere sogni e a volte mi sembrava ancora di farne alcuni che mi mostravano la vita di qualcun altro; mi chiedevo a cosa servisse avere una capacità del genere se poi non ero in grado di mettere in guardia queste persone, di modificare la loro sorte.

Un giorno, lui mi chiamò dall’ospedale: era in attesa di un trapianto. Lo sentii preoccupato, spaventato. Cercai di consolarlo, gli promisi che lo avrei chiamato ogni sera. Furono giorni di ansia. Non potevo fare altro che pregare e aspettare e non riuscivo a fare a meno di pensarci. Finché, un giorno, mi richiamò e aveva un tono allegro e la sua voce era tornata squillante. Il trapianto era andato bene.

“Ho chiesto ai miei di portarmi il pc in ospedale” mi disse, “così posso riprendere a lavorare.”

A quelle parole mi salì una rabbia tremenda, assieme ad una delusione profonda: era stato ad un passo dalla morte e non aveva imparato nulla: in cima ai suoi pensieri c’era sempre il lavoro, essere produttivo era la sua unica preoccupazione, come se da questo dipendesse tutto il suo valore. Non mi servivano poteri magici per pronosticare che quell’atteggiamento lo avrebbe distrutto. Lo vedevo chiaramente, non era questione di se, ma di quando: e non volevo essere lì, nel momento in cui sarebbe successo. Non lo chiamai più, gli vietai di mandarmi ancora dei messaggi. Volevo solo dimenticarmi di lui e di quella sua testa dura.

Morì a poco più di quarant’anni, in una stanza d’albergo, durante l’ennesimo viaggio di lavoro all’estero. Piansi di rabbia, perché le lacrime di dolore le avevo versate dieci anni prima.

Non feci altri sogni premonitori, mai più.

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