SETTIMA parte del libro che sto scrivendo. Se vi siete persi l'inizio, vi invito a leggere la storia dal principio, iniziando dalla prima parte, che potrete visualizzare cliccando sul link qui sotto:
Se invece vi va di leggere su Wattpad, dove sono arrivata a pubblicare 11 parti, questo è il link:
Premonizioni
Da quel momento, il mio rapporto con i sogni cambiò.
Decisi che valeva la pena prenderli un po’ più sul serio, anche se la mia parte
più razionale si ribellava all’idea di essere diventata una specie di
profetessa onirica. Certo, l’episodio che mi era capitato aveva un ché di
inquietante, ma poteva anche essere frutto del caso; perciò, decisi di fare
qualcosa che apparentemente ha dell’assurdo: applicare il metodo scientifico ad
un campo che di scientifico ha ben poco.
Iniziai a trascrivere i miei sogni, a studiarne i simboli
e a rileggerli a distanza di giorni, mesi e anche anni, per capire se davvero
ci fosse in essi qualche significato che non riguardasse soltanto me. A
testimonianza di ciò, ho in casa diversi raccoglitori pieni zeppi di
trascrizioni di sogni, molti dei quali estremamente dettagliati. Per un certo
periodo, li raccontai via e-mail ad un’amica, che me ne dava una propria
interpretazione: avere un punto di vista esterno sulle mie visioni oniriche mi
aiutò molto, all’inizio, a districarmi in quella fitta rete di immagini
simboliche: la casa, l’acqua, il cimitero, i bambini, il labirinto, il rospo,
la gravidanza, erano soltanto alcuni degli elementi che comparivano nei miei
sogni. Man mano che li trascrivevo li ricordavo sempre meglio e diventava
sempre più impegnativo e complesso il mio lavoro di trascrizione, finché, dopo
anni, mi resi conto che stavo passando più tempo ad osservare i miei sogni che
a vivere la mia vita: fu questa constatazione a farmi smettere.
Tra i trenta e i trentatré anni, la mia vita si era fatta
molto frenetica: dopo un periodo da disoccupata, avevo finalmente iniziato a
lavorare, scoprendo che fare l’insegnante, il mestiere che avevo desiderato
esercitare fin da bambina, era molto più impegnativo di quanto avessi creduto,
specialmente perché ero alle prime armi e dovevo ancora costruirmi un metodo;
nonostante questo, ne ero entusiasta e mi ci applicavo con tutte le mie forze.
Era la vita privata a non soddisfarmi. Mi ero sempre immaginata a trent’anni
sposata e con dei figli, ma in amore stavo collezionando un fallimento dopo
l’altro. Ero molto stressata e i punti di riferimento che avevo avuto fino ad
allora si stavano sgretolando uno ad uno. Avevo bisogno di capire chi ero e la
mia convinzione era che la risposta stesse da qualche parte dentro di me.
Alla fine del mese di novembre del 2003, feci questi due
sogni: nel primo, indossavo una bella collana di corallo, ma poi ne trovavo
un'altra ancora più bella: aveva perle rosse e grigie e me la provavo, ma poi
mi ritrovavo con addosso un'altra collana ancora e tutte e tre si
ingarbugliavano attorno al mio collo e non riuscivo più a toglierle.
Nel successivo, vedevo mia zia con in mano un grande
sacco di plastica trasparente, pieno di pesci rossi e grigi. Anche se il
sacchetto era grande, i pesci erano troppi, alcuni erano morti, asfissiati
nella calca, altri cadevano fuori dal sacchetto, per terra, e venivano
calpestati.
Interpretai le perle rosse e grigie ed i pesci degli
stessi colori come i miei impegni che si accavallavano e si ingarbugliavano
fino a soffocarmi. L’anno successivo, nello stesso periodo, rifeci lo stesso
sogno delle collane, quasi identico: ne indossavo troppe, finivano per
stringermi il collo e non riuscivo più a levarmele.
Interpretare questo genere di sogni non era difficile:
riguardavano i miei stati d’animo, le paure, i desideri oppure il mio stato di
salute. Ma ero anche sempre all’erta per individuare un altro tipo di visioni
notturne, più sfuggenti e rare: quelle che avrebbero potuto arrivare da qualche
luogo “altro” e che, se fossi stata in grado di afferrarle, mi avrebbero
svelato qualcosa che non stava all’interno di me stessa, ma al di fuori.
E un giorno arrivarono. Ma non mi portarono alcuna gioia.
Sognai per due volte nella stessa settimana un amico che
non vedevo da tanto tempo; in entrambi i sogni lui non stava bene. In
particolare mi rimase impresso che in uno dei due sogni lui aveva i capelli
tutti bianchi e un’aria stanca, da vecchio. Trascrissi i due sogni come al
solito, senza dare a questa cosa un peso eccessivo, finché, circa un mese dopo,
mia madre si ricordò all’improvviso di averlo visto: era entrato nel nostro
negozio per acquistare qualcosa e mi aveva mandata a salutare.
“Quanto tempo è passato?” le chiesi, allarmata.
“Mah, non so… qualche settimana, forse un mese. E, sai
una cosa? Non stava per niente bene, secondo me. Aveva un’aria malata.”
Nei giorni successivi, misi in campo tutte le mie risorse
per scoprire cosa gli fosse successo, senza dire a nessuno cosa avevo sognato.
Riuscii a contattarlo per vie traverse e ci volle un po’ di tempo per venire a
sapere che era effettivamente malato ed in maniera grave, per giunta.
Ci eravamo voluti molto bene, un tempo, ma erano anni che
non ci sentivamo più. Non ci eravamo lasciati in buoni rapporti e mi ci volle
molto tempo, tatto e pazienza per riallacciare un minimo contatto con lui.
Quando ci riuscii, mi raccontò della sua malattia, di come si era manifestata e
di come lui cercasse di tenerla nascosta, soprattutto sul lavoro: era ambizioso
e sapeva bene che un male come quello gli avrebbe stroncato ogni possibilità di
fare carriera. Provai a fargli notare che la vita e la salute valevano molto di
più del successo lavorativo, ma lui era troppo testardo; del resto era stata
proprio quella sua caratteristica ad allontanarci.
Qualche tempo dopo, si sposò. Negli anni continuai a
vegliare su di lui da lontano, ci sentivamo per telefono, via mail o con
qualche sms. La sua vita proseguiva, la sua salute peggiorava, lui continuava a
fare viaggi all’estero per la ditta in cui lavorava, senza sosta. Ebbe un
figlio, poi un altro. Era entrato in dialisi. Avevo smesso di cercare di
convincerlo a riguardarsi. Se non lo faceva per sua moglie ed i suoi figli, non
lo avrebbe certo fatto per me.
Mi tormentavo, mentre ancora continuavo a trascrivere
sogni e a volte mi sembrava ancora di farne alcuni che mi mostravano la vita di
qualcun altro; mi chiedevo a cosa servisse avere una capacità del genere se poi
non ero in grado di mettere in guardia queste persone, di modificare la loro
sorte.
Un giorno, lui mi chiamò dall’ospedale: era in attesa di
un trapianto. Lo sentii preoccupato, spaventato. Cercai di consolarlo, gli
promisi che lo avrei chiamato ogni sera. Furono giorni di ansia. Non potevo
fare altro che pregare e aspettare e non riuscivo a fare a meno di pensarci.
Finché, un giorno, mi richiamò e aveva un tono allegro e la sua voce era
tornata squillante. Il trapianto era andato bene.
“Ho chiesto ai miei di portarmi il pc in ospedale” mi
disse, “così posso riprendere a lavorare.”
A quelle parole mi salì una rabbia tremenda, assieme ad
una delusione profonda: era stato ad un passo dalla morte e non aveva imparato
nulla: in cima ai suoi pensieri c’era sempre il lavoro, essere produttivo era
la sua unica preoccupazione, come se da questo dipendesse tutto il suo valore.
Non mi servivano poteri magici per pronosticare che quell’atteggiamento lo
avrebbe distrutto. Lo vedevo chiaramente, non era questione di se, ma di
quando: e non volevo essere lì, nel momento in cui sarebbe successo. Non lo
chiamai più, gli vietai di mandarmi ancora dei messaggi. Volevo solo
dimenticarmi di lui e di quella sua testa dura.
Morì a poco più di quarant’anni, in una stanza d’albergo,
durante l’ennesimo viaggio di lavoro all’estero. Piansi di rabbia, perché le
lacrime di dolore le avevo versate dieci anni prima.
Non feci altri sogni premonitori, mai più.
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