SESTA parte del libro che sto scrivendo. Se vi siete persi l'inizio, vi invito a leggere la storia dal principio, iniziando dalla prima parte, che potrete visualizzare cliccando sul link qui sotto:
Se invece vi va di leggere su Wattpad, questo è il link:
Un bicchiere di vino
E fu proprio un sogno fatto intorno ai trent’anni a dare
inizio alla mia ricerca sulla stregoneria. Poco tempo prima era morto,
giovanissimo, il marito di una delle mie cugine, ed io lo sognai. Premetto che,
nella mia cattolica famiglia, i sogni sui defunti sono sempre stati presi molto
sul serio: del resto, i cristiani credono nella vita dopo la morte, quindi è
perfettamente coerente la loro convinzione che amici e parenti defunti appaiano
loro in sogno nei momenti salienti della loro vita, in occasione di eventi
particolari, soprattutto di passaggio: tra questi, il più significativo è
quando qualcuno sta per varcare la soglia tra la vita e la morte.
Tuttavia, vorrei anche specificare che il dialogo con i
defunti venne stigmatizzato dalla Cristianità come attività di stregoneria fin
dai primi secoli; i Padri della Chiesa discussero vivacemente sul tema: tra i
più famosi citerò S. Agostino (IV secolo d.C.) e S. Tommaso d’Aquino (XIII
secolo d.C.) che associarono le conversazioni con le anime dei morti all’arte
demoniaca della negromanzia e come tali le condannarono, specie se praticate
dalle donne. Solo le visioni profetiche di santi, eremiti e uomini di fede
erano ammissibili.
Qualche secolo dopo, furono giudicate ammissibili anche
le apparizioni delle anime del Purgatorio ai propri congiunti, purché si
trattasse di suppliche nei loro confronti di pagare salate indulgenze e messe
di suffragio alla Chiesa, utili per accorciare il loro percorso di penitenza
fino al Paradiso.
Ma di tutta questa parentesi storica, i miei parenti non
sono a conoscenza.
Mio padre e mia madre, circa trent’anni fa, si
svegliarono all’unisono all’alba del giorno in cui morì un loro caro amico,
avvertendone chiaramente la presenza nella loro stanza da letto. Seppero in
seguito di essersi destati nello stesso orario del suo trapasso, avvenuto in
ospedale. Quando raccontano l’episodio, commentano soltanto, con semplicità: «L’è
vegnù saludarne[1]»
A me però non era mai successo di fare sogni sui defunti
e, oltretutto, non avevo avuto una gran confidenza con il marito di mia cugina:
gli avevo sì parlato qualche volta in occasioni di battesimi o altre feste di
famiglia, ma non vedevo proprio il motivo per il quale lui dovesse scegliere
proprio me per recare un messaggio alla sua giovane e disperata vedova.
In quel periodo avevo iniziato con i primi tentativi di
interpretazione dei miei sogni e lo stavo facendo nella maniera più classica,
quella psicanalitica. Anche senza aver fatto studi specifici in merito,
consideravo le immagini dei miei sogni come una serie di simboli creati dal mio
inconscio che, letti nella maniera corretta, potevano chiarire i miei stati
d’animo, le paure, le angosce nascoste, ed aiutarmi a superarle. Avevo imparato
molto su me stessa in quel modo ed il più delle volte non facevo grande fatica
a comprendere i significati delle mie visioni notturne, ma quel particolare
sogno non riuscivo ad interpretarlo.
Nel mio sogno, ero a casa dei miei zii, nella grande sala
da pranzo, affollata e rumorosa come sempre, dato che la loro è una famiglia
numerosa. La TV era accesa, i miei cugini andavano e venivano, chiacchierando
ad alta voce. Io ero seduta ad un lato del lungo tavolo e ad un tratto lo
vedevo: lui era in piedi, dall’altro lato. D’improvviso mi resi conto di essere
l’unica nella stanza ad accorgermi della sua presenza e mi ricordai che era
morto. Sul tavolo c’era un bicchiere di vino bianco ed allungai la mano per
prenderlo, ma lui mi disse: “Non berlo! Quello è per mia moglie.”
Al risveglio iniziai a considerare, una ad una, tutte le
immagini del sogno: la stanza in cui mi trovavo, l’andirivieni di gente, il
tavolo, il bicchiere di vino, ma quella serie di personaggi, oggetti e situazioni
non mi dicevano nulla, non vi riconoscevo alcun simbolo riconducibile a me.
Raccontai il sogno a mia madre e lei disse subito che avrei dovuto riferirlo a
mia cugina, ma io mi rifiutai: non volevo causarle più dolore di quello che
stava sicuramente provando, farla arrovellare su significati che non c’erano.
Così, provai un fortissimo imbarazzo e rabbia verso mia madre quando, alcuni
giorni dopo, facendole visita, le disse diretta: “Mara ha sognato tuo marito.”
Ma, fortunatamente, non fui costretta a raccontarle il sogno, perché lei, con
voce stanca e senza nemmeno guardarmi, rispose: “Le avrà detto che dovrei bere
vino.”
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