Non sono molti i miei lettori, ma qualcuno c'è. Queste poche persone che mi chiedono di poter leggere i prossimi capitoli, mi danno la forza di andare avanti con questo lavoro. Non è il mio mestiere, scrivere. Non ho idea se Cuore di Strega abbia le potenzialità e le caratteristiche di essere, un giorno, pubblicato. So soltanto che scriverlo, in questo preciso momento della mia vita, mi sta aiutando molto. Perciò, ecco a voi il capitolo 8 e, se siete più avanti con la lettura, vi lascio il link al capitolo 12, che ho appena postato su Wattpad.
In questi giorni sto lavorando al numero 13, che non è per nulla facile da scrivere. Spero di poterlo pubblicare entro la fine dell'anno. Buone Feste a tutti voi!
Strade
e cattedrali
Da questa attività imparai comunque moltissime cose
interessanti su me stessa e su come funziona la mia mente: una delle prime è
che l’inconscio sa proteggersi dalle intrusioni esterne. Non appena riuscivo ad
afferrare il significato di un simbolo, infatti, quella parte del mio cervello
deputata a fabbricare i sogni, tendeva a non utilizzarlo più.
Poi compresi che, se è vero che alcuni simboli sono
archetipi universali, come sa bene chi studia psicologia, ce ne sono altri che
sono ad uso esclusivo e personale: vale a dire che hanno un significato
specifico per noi e noi soltanto. Può trattarsi di un luogo o di una situazione
che abbiamo sperimentato nella nostra vita e che ha lasciato un particolare
tipo di impronta nella nostra psiche, di una persona che ha suscitato in noi
uno speciale sentimento o di impressione. Magari quando siamo svegli non
ricordiamo affatto di quale sentimento si tratti, ma il nostro inconscio lo sa
ed utilizza luoghi, persone e situazioni per tessere storie che possono avere
un significato preciso oppure avere la funzione di sfogare ansie e frustrazioni
che ci portiamo appresso e che, da svegli, teniamo ben nascoste anche a noi
stessi.
Molti dei miei sogni sono ricorrenti, non tanto per gli
eventi che vi si svolgono, quanto per gli ambienti e in paesaggi. È come se
dentro di me, con il tempo, si fosse andata formando una geografia onirica,
modellata sull’impronta dei luoghi reali in cui vivo, ma dalle proporzioni
ingigantite e arricchita da particolari che aumentano, di anno in anno, in
quantità e qualità.
Uno di questi ambienti, probabilmente quello radicato in
me da più tempo, è quello della chiesa: la prima volta che la sognai, da
bambina, era una piccola chiesa bianca, posta sulla sommità di una collina baciata
dal sole. Le giravo attorno, desiderosa di entrarvi per vederne l’interno, ma
non trovavo nessuna apertura. Solo sul retro, in basso, c’era una finestrella
chiusa da una grata e io tentavo invano di scrutare al suo interno: tutto era
buio e silenzioso.
Il sogno della chiesa tornò durante la mia adolescenza.
L’edificio si era fatto più grande ma ancora non riuscivo a visitarne
l’interno. In compenso, accanto vi era sorto un cimitero nel quale amavo
passeggiare. In questi sogni c’era sempre il sole, un senso di pace e
appartenenza; a volte provavo uno struggente sentimento di nostalgia.
Mano a mano che gli anni passano, chiesa e cimitero
diventano sempre più grandi, solenni, monumentali ed elaborati. Le forme e i
colori cambiano da un sogno all’altro, ma io sono consapevole che il luogo è
sempre lo stesso perché ogni volta sento di esserci già stata e mi sento serena
e a mio agio. Da semplice pieve di campagna, la chiesa che mi appare in sogno è
ormai diventata una vera e propria cattedrale, nella quale posso entrare a mio
piacimento, anche se talvolta alcuni ambienti mi rimangono preclusi. Cammino
nelle sue vaste sale, coperte da volte a crociera sorrette da colonne e
pilastri intarsiati di marmi colorati. Non vi si trovano lunghe navate, ma
ambienti larghi, in penombra, affollati da gente in preghiera, nicchie, stanze
più piccole, corridoi e scalinate. Ogni elemento è decorato in maniera
sontuosa, vi si odono canti e musica d’organo. Spesso cerco di allontanarmi
dalle zone più affollate e percorro i corridoi solitari, salgo scale a
chiocciola, in esplorazione. Oppure esco e mi dirigo verso il cimitero, che
quasi sempre si trova in una posizione sopraelevata rispetto alla cattedrale e
per arrivarci occorre percorrere una tortuosa stradina in salita, affiancata da
vecchi muri coperti di muschio. Là mi inoltro tra le tombe, adornate da statue,
mosaici colorati o cancellate di ferro battuto. Non di rado, affacciandosi al
muretto che lo circonda si gode di una vista meravigliosa sui tetti di cotto di
un’antica città o su enormi giardini verdeggianti.
Un altro ambiente ricorrente nei miei sogni è il
quartiere in cui abitavo con i miei genitori, oppure l’intero paese in cui sono
vissuta per tutta la mia vita. Ogni cosa si trova più o meno dov’è nella realtà
della veglia: il paese si stende in lunghezza all’interno di una valle percorsa
da un torrente, affiancato dalle due strade principali, da una parte la
provinciale e dall’altra la comunale che sbuca nella piazza del Municipio. Le
due strade sono collegate, a intervalli più o meno regolari, da diversi ponti.
Questa semplice mappa nella mia personale realtà onirica è dilatata e ricolma
di elementi tanto fantasiosi che io stessa, sognando, me ne stupisco. Non
sempre tali elementi si ripetono, alcuni li ho veduti una sola volta, ma erano
di una bellezza tale che mi sono rimasti impressi nella memoria e avrei tanto
voluto avere il pennello di Winsor McCay[1]
o di Moebius[2]
per poterli dipingere, una volta sveglia: palazzi in rilucente marmo bianco in
bilico su ponti dello stesso materiale, gettati sulle sponde del grande fiume
in cui la mia mente notturna trasforma il torrente che scorre nella valle; nere
cattedrali gotiche dalle guglie altissime, con torri d’onice scalate da strette
scale a chiocciola; mercati fitti di bancarelle multicolori degne di un bazar
orientale, interi quartieri incastonati sui fianchi di ripide colline, giardini
segreti nascosti dietro i muri delle case. E ancora, condomini trasformati in
palazzi dalle forme eclettiche con bifore medievali per finestre e ascensori
capaci di muoversi in orizzontale come in verticale, all’interno di residence
labirintici.
Sulle colline che circondano la valle, le frazioni e le
contrade del mio paese si trasformano in antichi borghi con archi e piazzette
lastricate, collegate da strade a strapiombo su pareti di roccia che talvolta
si aprono in grotte da cui fuoriescono sorgenti d’acqua calda o fredda.
Lungo quella che nella realtà è una provinciale polverosa
percorsa da lunghe file di automobili e camion, nelle mie visioni oniriche si
aprono da un lato osterie malfamate e scure botteghe di vecchi artigiani che
fabbricano aghi, dall’altro, oltre il fiume, giace un quartiere
semiabbandonato, coperto di rovi e ortiche, impossibile da raggiungere, tranne
che per le fatiscenti barche di pescatori zingari.
Talvolta mi muovo più ad est, fuori dalla valle, verso la
cittadina che si trova giù in pianura e quella stessa strada diventa
lunghissima e teatro dei viaggi più strani e bizzarri. Molto spesso lunghi
tratti si allagano costringendo tutti i personaggi del sogno ad abbandonare i
propri veicoli e a proseguire a piedi, lottando contro il fango e la corrente.
Altre volte il tragitto è interrotto dagli scavi di ruspe che estraggono dal
sottosuolo gli scheletri di un’intera necropoli. Nei miei sogni ho percorso
quella strada a piedi, in bicicletta, a cavallo, alla guida di camion o,
recentemente, di un’auto sportiva con i pedali lontanissimi dai miei piedi. Ho
affrontato grandine e tempeste e gelate e inondazioni.
Nella cittadina confinante con il mio paese, la viabilità
è molto più contorta: a volte mi ci perdo, tra vicoli che si intersecano e che
in alcune occasioni passano attraverso gli edifici. In una certa zona, poco
distante dalla stazione degli autobus, solamente nei miei sogni purtroppo, si
trova un negozio che vende esclusivamente cioccolata. Negli anni, da piccolo
chiosco delle dimensioni di un’edicola, è andato via via ingrandendosi ed
acquisendo vetrine e magazzini che sono un vero paradiso dei sensi: non
soltanto vi si trovano cioccolatini, pasticcini e tavolette fatti con il cacao
più ricercato e costoso, ma vere e proprie sculture di cioccolato, dalle forme
più fantasiose ed elaborate, colorate con glasse dai mille invitanti colori.
All’interno, un profumo delizioso mi avvolge ed io mi aggiro lentamente tra gli
scaffali, osservando tutto con molta attenzione prima di scegliere cosa
acquistare, perché i prezzi sono alle stelle! Un omino baffuto dallo sguardo
sornione è il proprietario e spesso gli chiedo consigli sugli ultimi articoli
arrivati in negozio. Lui mi fa assaggiare qualche frammento di dolci che gli
sono arrivati da lontani paesi o da rinomate pasticcerie.
I miei sogni non sono tutti belli, naturalmente, ma tutti
sono affollati di personaggi, di oggetti e di colori. Quando sono brutti
riflettono le mie ansie, ma non faccio quasi mai dei veri e propri incubi:
piuttosto mi ritrovo in situazioni confuse, in cui sono costretta a compiere
azioni ripetitive che non finiscono mai, come preparare bagagli, o mettere in
ordine una stanza che per quanto mi affanni rimane sempre sommersa dal
disordine. Oppure sogno di trovarmi a scuola e di correre da un corridoio
all’altro in cerca dell’aula in cui si trova la mia classe, ma invano; o
ancora, di dannarmi a cercare di far lezione ad un gruppo di allievi
completamente disinteressati a ciò che dico, di cercare di mettere una nota con
una penna che non scrive o con un computer che non funziona. Da questi sogni mi
sveglio stanca e nervosa, come se avessi realmente lavorato tutta la notte,
anziché dormire.
La cosa interessante è che conosco quasi sempre da dove
viene una certa immagine o una certa situazione onirica: le mie visioni sono
come alberi che hanno radici profondamente ancorate nella parte più nascosta di
me stessa: ma pur essendo nascosta, è pur sempre una parte di me e a me sola
appartiene. Una strega sa distinguere un ricordo da un desiderio, un’ansia da
una paura, sia che si manifestino ad occhi aperti o chiusi.
E ciò che ancora non conosce lo abbraccia, lo accoglie e
lo conserva dentro di sé come un seme, attendendo che si manifesti come si
attende il germoglio a primavera.
Perché il mistero racchiuso in ogni cuore è sacro, come
una piccola chiesa bianca sulla sommità di una collina, che prima o poi si apre
e diventa un’immensa cattedrale, se soltanto si ha la pazienza e il desiderio
di guardare al suo interno.
[1] Winsor McCay (1869 – 1934) è stato un
fumettista, animatore e illustratore statunitense, autore dei meravigliosi
viaggi onirici di Little Nemo in Slumberland
(1905), un fumetto che narra i sogni estremamente fantasiosi e colorati di un
bambino di nome Nemo.
[2] Jean Giraud, noto con lo pseudonimo
“Moebius” (1938 – 2012) è considerato uno dei maestri del fumetto e
dell’illustrazione fantasy.