...
I primi anni del mio lavoro sono stati molto duri, immagino sia un’esperienza che capiti un po’ a tutti. Un anno scolastico, in particolare, è stato davvero tremendo: insegnavo contemporaneamente in tre scuole, dislocate in tre paesi diversi. Due scuole medie e un Liceo. Non avevo giorno libero e passavo la domenica a studiare le lezioni di storia dell’arte per i miei allievi liceali, era la prima (e ultima) volta che insegnavo in un Liceo e non volevo fare brutta figura.
Non ricordo bene quando, ma ben presto cominciai a soffrire di mal di testa da stress. Cominciava verso le 11 del mattino, puntualmente ogni domenica. Aumentava gradualmente fino all’ora di pranzo. Dopo mangiato arrivava ad un livello insopportabile, prendevo un antidolorifico e andavo a letto. Quando il medicinale aveva fatto effetto, piano piano mi alzavo, mi mettevo al computer e iniziavo a preparare la lezione per la mattina dopo.
Mesi e mesi così.
Durante la settimana non uscivo mai, se non per andare al lavoro. Il pomeriggio, se non avevo riunioni, piombavo a letto e dormivo come un sasso. L’unico sfogo era quello di scrivere lunghe e-mail ad un’amica, alla quale raccontavo del tipo di cui ero perdutamente innamorata e che non riuscivo, ovviamente, a vedere quasi mai.
Ero veramente stufa di quella situazione, finché un giorno, in libreria, vidi un libretto che si intitolava: “Vincere il mal di testa”. Lo acquistai e iniziai a leggerlo, anche se non ero convinta che avrei ottenuto facilmente dei risultati, ma sentivo che non potevo assolutamente continuare così. La mia vita era uno schifo e non mi stava bene.
Iniziai a tenere una tabella con date, orari, intensità del mal di testa. Segnavo a che punto ero con il ciclo mestruale e anche che tempo faceva, perché bastava una minima variazione della pressione atmosferica per scatenare dolori infernali.
E iniziai anche a tenere una tabella settimanale dei miei impegni scolastici. Sono sempre stata una persona disordinata (almeno a detta dei miei familiari più stretti), ma l’ordine nei miei programmi e nei miei impegni divenne la chiave indispensabile per allentare la pressione dello stress.
Ci volle del tempo, ma i mal di testa sparirono.
Qualche tempo dopo, cominciai a pensare di averne abbastanza anche del mio mal di schiena. Ho sofferto di mal di schiena fin dai 12 anni di età. È stata una presenza costante nella mia vita, con periodi in cui era più sopportabile e altri di fase acuta, in cui passavo a letto anche una decina di giorni, completamente bloccata, con il panico di non riuscire nemmeno ad andare fino in bagno da sola.
Per anni ho fatto fisioterapia, trattamenti con farmaci, massaggi, ho fatto raggi X e risonanze magnetiche, corsi di ginnastica specifici, con risultati altalenanti.
Ho sempre cercato di convivere con le mie malattie, e il mal di schiena era parte della mia vita da così tanto tempo che quasi non ci facevo più caso. Ma un giorno, me lo ricordo bene, ero a letto e cercavo di scrivere comunque sul mio diario, senza riuscire a stare né seduta né sdraiata, qualcosa è scattato dentro di me e ha detto “basta”.
E ho acquistato un libro sul mal di schiena.
Ora, non è che avessi cominciato a confondere la libreria con la farmacia, intendiamoci.
Acquistare il libro era il segno della mia volontà di prendermi cura del problema, e di farlo in prima persona, senza intermediari. Volevo saperne di più, capire da dove venisse. Certo, lo sapevo già, in un certo senso, avevo tutte le lastre dei raggi X e risonanze varie, e le diagnosi dei medici che prendevano polvere nel cassetto sotto il mio letto, ma non mi bastava.
Lessi tutto il libro, ripresi con più convinzione a fare gli esercizi di ginnastica e mi iscrissi ad un corso di danza del ventre.
Ci volle un anno per vedere i primi risultati, e sinceramente, all’inizio non pensavo che avrebbe funzionato davvero. Non ho eliminato completamente il mal di schiena dalla mia vita, ma sono migliorata moltissimo, e non ci speravo davvero. Durante le riunioni, a scuola, trascorro ancora tutto il tempo che posso in piedi, girando attorno al tavolo e facendo venire (probabilmente) il nervoso ai miei colleghi, ma sono già tre anni che non rimango bloccata a letto e questa per me è una vittoria.
Ora sono alle prese con un’altra battaglia, ma è molto più difficile, impegnativa e snervante. Ho acquistato non uno, ma diversi libri sull’argomento, e ogni volta che mi sembra di aver sbrogliato il bandolo della matassa, mi rendo conto che invece sono ancora al punto di partenza. Mi sembra di aver fatto dei progressi, a volte, in altri giorni invece mi arrivano delle batoste tremende… e forse l’unico progresso reale che ho fatto è aver imparato a incassare e passare oltre in tempi molto più brevi di un tempo.
Non ho ancora risolto nulla, ma non mi arrendo.
Penso a come ho superato il mal di testa e non mi arrendo. Ce la farò, passerà, e andrò oltre, e avrò altre battaglie da affrontare e altri libri da allineare sul mio scaffale, come medaglie al valore.
E lo so, che non finirà mai, almeno fintanto che sarò viva. Ma non vedo altro modo onorevole di vivere se non combattendo ogni giorno con se stessi.
...
domenica 29 agosto 2010
giovedì 26 agosto 2010
(omaggio a Jacques Prévert)
...
Sono quella che sono
Vestita
O no
Per me non fa differenza.
Cammino
Parlo
Amo
Nella stessa maniera
Nella stessa misura
Da due milioni di anni.
Sono quella che sono
Se tu non mi conosci
Per me
Non fa differenza.
Piangere
Ridere
Cullare
E talvolta
Ferirti
Non so tenere il conto
Di queste cose.
Ad intrecciare le mie dita
Su di te
Lo so
Di averne dieci.
Ma se mi chiedi
Per quanto tempo
Non ho lunario
Né agenda
Né scadenze.
Amo cammino parlo
Nella stessa maniera
Da due milioni
Di anni.
Sono quella che sono
Se tu non ti ricordi
Non so che farci.
(Mara Bagatella – 13.10.2009 – Transito 2009)
...
Questo opera è distribuito con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia.
...
Il video di Anouk che avrei perferito mettere è questo, che trovo stupendo.
...
Sono quella che sono
Vestita
O no
Per me non fa differenza.
Cammino
Parlo
Amo
Nella stessa maniera
Nella stessa misura
Da due milioni di anni.
Sono quella che sono
Se tu non mi conosci
Per me
Non fa differenza.
Piangere
Ridere
Cullare
E talvolta
Ferirti
Non so tenere il conto
Di queste cose.
Ad intrecciare le mie dita
Su di te
Lo so
Di averne dieci.
Ma se mi chiedi
Per quanto tempo
Non ho lunario
Né agenda
Né scadenze.
Amo cammino parlo
Nella stessa maniera
Da due milioni
Di anni.
Sono quella che sono
Se tu non ti ricordi
Non so che farci.
(Mara Bagatella – 13.10.2009 – Transito 2009)
...
Questo opera è distribuito con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia.
...
Il video di Anouk che avrei perferito mettere è questo, che trovo stupendo.
...
domenica 15 agosto 2010
CHIUSO PER FERIE
venerdì 13 agosto 2010
Istruzioni per una giornata autunnale d’agosto
...
• Farsi un caffè
• Mettere un disco di Bach (Mozart no, troppo allegro)
• Rimettere tutte le carte nei cassetti, anche alla rinfusa, purché siano fuori dalla vista
• Pulire i pavimenti
• Rileggere le e-mail del tipo che frequentavo, per ricordare a me stessa che smettere di frequentarlo è stata un’OTTIMA IDEA
• Ascoltare la malinconia con calma e prendere coscienza del fatto che fa parte di me e che lo sarà sempre. Che io sia sola, o con qualcuno, non fa differenza.
...
• Farsi un caffè
• Mettere un disco di Bach (Mozart no, troppo allegro)
• Rimettere tutte le carte nei cassetti, anche alla rinfusa, purché siano fuori dalla vista
• Pulire i pavimenti
• Rileggere le e-mail del tipo che frequentavo, per ricordare a me stessa che smettere di frequentarlo è stata un’OTTIMA IDEA
• Ascoltare la malinconia con calma e prendere coscienza del fatto che fa parte di me e che lo sarà sempre. Che io sia sola, o con qualcuno, non fa differenza.
...
lunedì 9 agosto 2010
Crescita
...
Si imparano tante cose coltivando le piante. Fino a tre anni fa non sapevo nemmeno di avere la passione per il giardinaggio, ma, da quando abito in una casa mia, le piante hanno riempito ogni spazio del mio minuscolo terrazzino.
Chi non ha mai provato farà un po’ fatica a comprendere il paragone, ma coltivare una pianta è molto simile a coltivare un rapporto.
All’inizio si semina. Fuori fa ancora freddo e ti domandi se e quando da quel minuscolo seme spunterà un germoglio. Passa il tempo e apparentemente non succede nulla… ma tu continui ad inumidire la terra del vaso e ad attendere… aspetti… e aspetti ancora. Qualche volta scuoti la testa e storci il naso.
Niente.
E poi, all’improvviso, una spaccatura nella terra, sembra un crepaccio in miniatura, come se là sotto ci fosse un terremoto di magnitudo infinitesimale. Le tue piantine sono là, piccoli puntini verdi, di una fragilità sfacciata, quasi prepotente.
È il primo attimo di felicità, ma la fatica è appena iniziata.
Intanto bisogna vedere se quei germogli sono effettivamente le piante che tu hai seminato. A me è capitato, ho seminato una pianta, ma un’altra è nata prima e ha preso il sopravvento. Ne ho osservato le foglie per quasi un mese, poi mi sono dovuta rassegnare… quello che era nato non era ciò che credevo, ho dovuto ricominciare tutto daccapo.
Finché le piante sono giovani e fragili hanno bisogno di molte cure. Le devi annaffiare e difendere dai parassiti. Io, come fanno tanti altri appassionati, alle mie piante ci parlo, anche.
Anche le fasi di una nuova amicizia sono così. Si mettono i semi nel terreno e si attende, si scruta con attenzione cosa ne verrà fuori, una cosa buona o una cattiva?
Poi ci si prende cura di ciò che si è fatto nascere, o almeno dovrebbe essere così. Purtroppo osservo spesso che la gente semina e poi si stufa subito, si dimentica, si allontana, non gli interessa più. Lascia morire ciò a cui ha appena dato vita. Anche se ormai mi sono rassegnata al fatto che il mondo sia pieno di gente così, ogni volta che ciò accade mi stupisco immensamente.
Ho seminato una gran varietà di rapporti nella mia vita, e certo, non sono tutti uguali. Alcuni sono grandi alberi ormai, e non hanno bisogno di cure quotidiane e assidue, sono le amicizie più solide e ancorate a terra. Quelle che mi danno frescura e ristoro nelle giornate torride, quelle da cui cogliere i frutti più maturi, quelle a cui mi posso appoggiare. Altre invece sono germogli appena nati e hanno più bisogno di me.
Ci sono piante perenni, altre sono annuali. Nascono in primavera, muoiono in autunno. Ma se ne conservo i semi, l’anno dopo può ricominciare tutto daccapo.
Le piante, come le persone, non sono tutte uguali, hanno bisogni diversi, e ti danno frutti diversi. Alcune ti nutrono, altre sono semplicemente ornamentali.
Non si può chiedere ad una persona di darti qualcosa che non ha. Io dico sempre: se vai in un campo di carote e pretendi di trovare patate, il problema è tuo, non delle carote.
Ci vuole un sacco di pazienza, e bisogna essere disposti a fare fatica, sia per coltivare piante, sia per coltivare amicizie. Certe volte mi stanco. Certe volte mi scoraggio.
In effetti, una delle cose che sto imparando, è che ho bisogno di essere coltivata anch’io…
...
Si imparano tante cose coltivando le piante. Fino a tre anni fa non sapevo nemmeno di avere la passione per il giardinaggio, ma, da quando abito in una casa mia, le piante hanno riempito ogni spazio del mio minuscolo terrazzino.
Chi non ha mai provato farà un po’ fatica a comprendere il paragone, ma coltivare una pianta è molto simile a coltivare un rapporto.
All’inizio si semina. Fuori fa ancora freddo e ti domandi se e quando da quel minuscolo seme spunterà un germoglio. Passa il tempo e apparentemente non succede nulla… ma tu continui ad inumidire la terra del vaso e ad attendere… aspetti… e aspetti ancora. Qualche volta scuoti la testa e storci il naso.
Niente.
E poi, all’improvviso, una spaccatura nella terra, sembra un crepaccio in miniatura, come se là sotto ci fosse un terremoto di magnitudo infinitesimale. Le tue piantine sono là, piccoli puntini verdi, di una fragilità sfacciata, quasi prepotente.
È il primo attimo di felicità, ma la fatica è appena iniziata.
Intanto bisogna vedere se quei germogli sono effettivamente le piante che tu hai seminato. A me è capitato, ho seminato una pianta, ma un’altra è nata prima e ha preso il sopravvento. Ne ho osservato le foglie per quasi un mese, poi mi sono dovuta rassegnare… quello che era nato non era ciò che credevo, ho dovuto ricominciare tutto daccapo.
Finché le piante sono giovani e fragili hanno bisogno di molte cure. Le devi annaffiare e difendere dai parassiti. Io, come fanno tanti altri appassionati, alle mie piante ci parlo, anche.
Anche le fasi di una nuova amicizia sono così. Si mettono i semi nel terreno e si attende, si scruta con attenzione cosa ne verrà fuori, una cosa buona o una cattiva?
Poi ci si prende cura di ciò che si è fatto nascere, o almeno dovrebbe essere così. Purtroppo osservo spesso che la gente semina e poi si stufa subito, si dimentica, si allontana, non gli interessa più. Lascia morire ciò a cui ha appena dato vita. Anche se ormai mi sono rassegnata al fatto che il mondo sia pieno di gente così, ogni volta che ciò accade mi stupisco immensamente.
Ho seminato una gran varietà di rapporti nella mia vita, e certo, non sono tutti uguali. Alcuni sono grandi alberi ormai, e non hanno bisogno di cure quotidiane e assidue, sono le amicizie più solide e ancorate a terra. Quelle che mi danno frescura e ristoro nelle giornate torride, quelle da cui cogliere i frutti più maturi, quelle a cui mi posso appoggiare. Altre invece sono germogli appena nati e hanno più bisogno di me.
Ci sono piante perenni, altre sono annuali. Nascono in primavera, muoiono in autunno. Ma se ne conservo i semi, l’anno dopo può ricominciare tutto daccapo.
Le piante, come le persone, non sono tutte uguali, hanno bisogni diversi, e ti danno frutti diversi. Alcune ti nutrono, altre sono semplicemente ornamentali.
Non si può chiedere ad una persona di darti qualcosa che non ha. Io dico sempre: se vai in un campo di carote e pretendi di trovare patate, il problema è tuo, non delle carote.
Ci vuole un sacco di pazienza, e bisogna essere disposti a fare fatica, sia per coltivare piante, sia per coltivare amicizie. Certe volte mi stanco. Certe volte mi scoraggio.
In effetti, una delle cose che sto imparando, è che ho bisogno di essere coltivata anch’io…
...
mercoledì 4 agosto 2010
Cimiteri
È da un po’ di tempo che non sogno cimiteri. Quello di trovarmi all’interno di un grande cimitero è uno dei miei sogni ricorrenti dall’infanzia. Non pensate male, però: niente incubi, niente di cupo o di pauroso.
I cimiteri che io sogno sono di quelli monumentali, immersi nel verde. Spesso sono collocati sulla sommità di una collina, e al centro si erge una grande cattedrale, imponente, antica e labirintica. Le tombe sono ricche, decorate con molte statue e simboli. Le più grandi, a volte, con mosaici colorati e scintillanti.
Nei miei sogni i cimiteri sono luoghi misteriosi e solenni, che io sono ansiosa di esplorare. Nei miei sogni di cimiteri non è mai notte, e i colori sono vivaci: alberi verdi, muri di sasso o mattoni rossi, marmi, decorazioni in ferro battuto. Spesso c’è della gente, che mi accompagna oppure che passa di lì, in visita. Ma nessuno piange.
Mi sono spesso chiesta il significato di questi sogni.
Poco prima di aprire questo blog, avevo sognato un cimitero, ma non era come al solito.
C’era molto chiasso e disordine e la cosa non mi piaceva. Gruppi di bambini correvano gridando, nessuno li sgridava, nonostante ci fosse molta gente.
Ad un certo punto ho notato una fila di tombe, e quello che ho visto non mi è piaciuto: la terra era smossa, i corpi erano stati coperti in fretta e malamente. A quei morti era stata data una sepoltura assolutamente inadeguata, e la cosa mi dava fastidio e in più mi preoccupava.
Ricordo che pensai ai bambini vocianti, che avrebbero potuto spaventarsi, o inciampare e cadere in quelle fosse coperte a metà.
Al risveglio, ci ho pensato molto. Ho pensato che i cimiteri che sogno rappresentano il mio passato, quello che è stato e a cui ho detto addio. Quando ci si stacca da qualcosa o da qualcuno, una cerimonia funebre ci vuole. Più è stato grande e importante il sentimento che mi ha legata ad una persona, una cosa, un evento del mio passato, più elaborata dev’essere la funzione. E nel mio passato c’era qualcosa che non andava. Qualcosa era stato sepolto frettolosamente e male, e riemergeva dalla terra, e capirete, non c’è nulla di più brutto che un cadavere insepolto…
Dovevo fare qualcosa per quei poveri morti, quei sentimenti, quei ricordi, quelle esperienze che mi avevano accompagnata in passato. Dovevano ricevere un degno trattamento e soprattutto non intralciare o spaventare i bambini vocianti, che rappresentavano i nuovi sogni, le speranze, le nuove occasioni.
Così ho aperto questo blog, e per prima cosa ho pubblicato poesie scritte molti anni fa, che pochissime persone avevano letto. Ho tirato fuori cose vecchie dai cassetti, e il condividerle mi ha fatto bene. Ha ridimensionato dolori e paure che mi sembravano molto più grandi e importanti di quanto fossero in realtà.
E ho imparato qualcosa di nuovo, ed ora vi dirò che cosa, e forse riderete, ma non importa, fa sempre parte della cerimonia.
Ho imparato a spedire le lettere d’amore che scrivo, a non avere più paura che piacciano o no. Non rimarranno più ad ammuffire nei miei cassetti. Che io venga o no ricambiata non ha più importanza, spedire significa lasciare andare.
E fare spazio agli amori nuovi.
...
I cimiteri che io sogno sono di quelli monumentali, immersi nel verde. Spesso sono collocati sulla sommità di una collina, e al centro si erge una grande cattedrale, imponente, antica e labirintica. Le tombe sono ricche, decorate con molte statue e simboli. Le più grandi, a volte, con mosaici colorati e scintillanti.
Nei miei sogni i cimiteri sono luoghi misteriosi e solenni, che io sono ansiosa di esplorare. Nei miei sogni di cimiteri non è mai notte, e i colori sono vivaci: alberi verdi, muri di sasso o mattoni rossi, marmi, decorazioni in ferro battuto. Spesso c’è della gente, che mi accompagna oppure che passa di lì, in visita. Ma nessuno piange.
Mi sono spesso chiesta il significato di questi sogni.
Poco prima di aprire questo blog, avevo sognato un cimitero, ma non era come al solito.
C’era molto chiasso e disordine e la cosa non mi piaceva. Gruppi di bambini correvano gridando, nessuno li sgridava, nonostante ci fosse molta gente.
Ad un certo punto ho notato una fila di tombe, e quello che ho visto non mi è piaciuto: la terra era smossa, i corpi erano stati coperti in fretta e malamente. A quei morti era stata data una sepoltura assolutamente inadeguata, e la cosa mi dava fastidio e in più mi preoccupava.
Ricordo che pensai ai bambini vocianti, che avrebbero potuto spaventarsi, o inciampare e cadere in quelle fosse coperte a metà.
Al risveglio, ci ho pensato molto. Ho pensato che i cimiteri che sogno rappresentano il mio passato, quello che è stato e a cui ho detto addio. Quando ci si stacca da qualcosa o da qualcuno, una cerimonia funebre ci vuole. Più è stato grande e importante il sentimento che mi ha legata ad una persona, una cosa, un evento del mio passato, più elaborata dev’essere la funzione. E nel mio passato c’era qualcosa che non andava. Qualcosa era stato sepolto frettolosamente e male, e riemergeva dalla terra, e capirete, non c’è nulla di più brutto che un cadavere insepolto…
Dovevo fare qualcosa per quei poveri morti, quei sentimenti, quei ricordi, quelle esperienze che mi avevano accompagnata in passato. Dovevano ricevere un degno trattamento e soprattutto non intralciare o spaventare i bambini vocianti, che rappresentavano i nuovi sogni, le speranze, le nuove occasioni.
Così ho aperto questo blog, e per prima cosa ho pubblicato poesie scritte molti anni fa, che pochissime persone avevano letto. Ho tirato fuori cose vecchie dai cassetti, e il condividerle mi ha fatto bene. Ha ridimensionato dolori e paure che mi sembravano molto più grandi e importanti di quanto fossero in realtà.
E ho imparato qualcosa di nuovo, ed ora vi dirò che cosa, e forse riderete, ma non importa, fa sempre parte della cerimonia.
Ho imparato a spedire le lettere d’amore che scrivo, a non avere più paura che piacciano o no. Non rimarranno più ad ammuffire nei miei cassetti. Che io venga o no ricambiata non ha più importanza, spedire significa lasciare andare.
E fare spazio agli amori nuovi.
...
lunedì 2 agosto 2010
Intelligenza
...
(immagine dal web)
“L’intelligenza costituisce soprattutto la più alta forma di adattamento dell’organismo all’ambiente”
(J. Piaget)
Che cos’è l’intelligenza?
Cosa distingue una persona “intelligente” da una che non lo è?
Io non sono una psicologa, ho solo letto qualche libro ai tempi in cui studiavo per il concorso di abilitazione all’insegnamento. Ogni tanto leggo ancora qualcosina, testi leggeri, però, niente di complicato. Non ho mai letto Freud, per intenderci.
Insomma, la maggior parte delle mie nozioni di psicologia viene da osservazioni empiriche.
Per esempio: ieri sera ho avuto una curiosa conversazione con uno studente universitario. Uno che dà esami di letteratura greca, e con un certo successo. Quindi, in teoria, niente affatto uno stupido, anzi.
Beh, la conversazione verteva su un argomento che a me sembrava semplice, eppure non riuscivamo ad intenderci. Ad un certo punto, lui mi ha freddata con una frase che mi sono sentita ripetere troppo spesso nella mia vita: “Pensi troppo” questo era il succo, anche se non ricordo le parole esatte “complichi le cose, sei esagerata”.
Ci sono rimasta male, lo ammetto.
Poi, oggi, è successa un’altra cosa, che mi ha dato da pensare. Ero a pranzo dai miei, e c’erano altri ospiti, tra cui una ragazzina di 17 anni. La conosco, si fa per dire, da quando era molto piccola, e non mi è mai sembrata particolarmente sveglia.
Ebbene, mentre parlavamo, se n’è uscita con delle considerazioni sulla politica, niente affatto stupide, anzi. (la ripetizione è voluta N. d. A.)
Credo che in famiglia non parlino molto di quegli argomenti, ma lei aveva fatto delle esperienze, a scuola, e ne aveva tratto delle considerazioni logiche. Mi ha fatto molta tenerezza, perché con il suo vocabolario limitato e le sue scarse conoscenze di storia, mi ha spiegato il suo pensiero, una teoria che, per quanto semplice, alla maggior parte degli adulti di mia conoscenza non passa neppure per l’anticamera del cervello, nonostante si tratti di qualcosa che sta sotto gli occhi di tutti.
E allora mi sono detta che il mondo in cui viviamo, la società, le persone, sono molto, molto più complesse di quanto ci si renda conto. Persino io, che mi ritrovo appiccicata addosso l’etichetta di “donna complicata” da decenni, riesco a stupirmi ancora, a trovare variabili che non avevo considerato… e mi succede di continuo.
E così, torniamo alla domanda iniziale: chi è lo stupido e chi è l’intelligente?
Io non lo so se sono una persona intelligente. Stando alla definizione di Piaget, mi pare di no… dato che spesso ad adattarmi al mio ambiente faccio molta, ma molta fatica.
Mi consola il fatto che, a quanto ricordi, gli scienziati che studiano in questo settore non sono ancora riusciti a dare dell’intelligenza una definizione univoca e universalmente accettata. Se qualcuno è più aggiornato di me in questo campo, e la definizione nel frattempo fosse uscita fuori, me lo dica, per cortesia, così colmerò finalmente una delle mie tante lacune…
...
Iscriviti a:
Post (Atom)