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Qualche anno fa, gironzolando in libreria, la mia attenzione è stata presa da un libro intitolato: “Perché non farò mai l’insegnante” di Gianfranco Giovannone. Naturalmente l’ho acquistato subito, l’ho letto d’un fiato, e poi mi sono chiesta: e io, come mai faccio l’insegnante?
Ho sempre desiderato fare l’insegnante, fin da bambina. È un mestiere complesso, forse per questo lo amo tanto. Potrei dare tante motivazioni, ma credo vi annoierei, perciò preferisco raccontare qualche aneddoto capitato proprio pochi giorni fa, durante gli esami di Stato, quelli che concludono il Primo Ciclo della Scuola Secondaria, nome ridondante e pomposo che ora si dà alla vecchia Scuola Media.
Ogni anno imparo qualcosa di nuovo dai miei alunni, proprio durante gli esami. E rispolvero i motivi per cui ho scelto di fare questo mestiere.
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1 – LIBERTÀ
Ai ragazzi di 13 anni piacciono le storie di guerra; aerei e carri armati, fucili, mitragliatori, strategie, combattimenti… le scoprono in terza media, e poi magari negli anni a seguire perpetuano le fantasie guerresche riunendosi nelle sere d’inverno per giocare a Risiko.
Così, le Guerre Mondiali sono spesso il nucleo centrale delle tesine che vengono presentate dai miei allievi agli esami, specialmente dai maschi.
Quello che era appena entrato, grande e grosso e un po’ impacciato per l’emozione, era uno di questi. Bisogna dire che non era mai stato un alunno modello. Vivace, poco responsabile, aveva sempre fatto fatica a capire quando era il momento di stare zitto, di non ridere alla presenza dei professori, perfino, a volte, di rimanere seduto. In poche parole: non si era fatto molto amare dai suoi insegnanti.
Nel momento in cui si era seduto, con la schiena un po’ curva, in mezzo al Consiglio di Classe al completo, i cipigli delle mie colleghe, schierate davanti a lui, glielo avevano ricordato immediatamente.
Mentre la professoressa di Lettere iniziava a interrogarlo, io avevo preso in mano la sua tesina che recava sulla copertina il titolo “GUERRA” a caratteri cubitali.
Conteneva un brano sulla battaglia di El Alamein, combattuta nel 1942 dai paracadutisti della “Folgore”.
Rimasi piuttosto sconcertata dallo stile narrativo del brano, dai toni smaccatamente propagandistici. Non ho ritrovato lo stesso testo in nessuno dei siti che ho consultato, perciò suppongo che lo avesse preso da qualche vecchio libro, a casa o in biblioteca.
Continuando a sfogliare la tesina, ecco l’approfondimento di storia dell’arte: il mio alunno aveva portato la vita di Pablo Picasso e la descrizione di “Guernica”.
Anche “Guernica” è un’opera di propaganda, ma del tipo opposto: è propaganda aperta e chiara contro ogni guerra, tanto che, ad un gerarca nazista che, alla vista del quadro, gli aveva chiesto se “avesse fatto lui quell’orrore”, Picasso rispose: “No, lo avete fatto voi”.
Perplessa, riguardo a quello strano patchwork di tesina che avevo in mano, chiaramente messa insieme con pezzi presi qua e là da libri e siti internet, mi sono chiesta che razza di minestrone di notizie e di nozioni potesse avere in testa in quel momento il mio alunno tredicenne.
Così, ho azzardato una domanda difficile.
“Ho letto un poco la tua tesina” gli ho detto “e ho visto che hai trattato l’argomento della guerra da diversi punti di vista: la battaglia di El Alamein e “Guernica” di Picasso. Ora vorrei sentire da te un commento personale: cosa ti è rimasto impresso studiando due facce così diverse della stessa medaglia?”
Lui mi ha guardata, senza immaginare che in quel momento fossi più in ansia di lui. Era già abbastanza agitato e l’ultima cosa che volevo era metterlo in difficoltà, ma quel punto era troppo importante per me.
Quel ragazzo era stato mio alunno per tre anni e ora stava per terminare il suo percorso nella Scuola Media. Cosa avrebbe portato con sé? Cosa gli avevo lasciato?
“Mi ha appassionato tanto il racconto della battaglia di El Alamein, il coraggio dei paracadutisti della Folgore. Però so anche che il loro sentimento di patriottismo era stato costruito da Mussolini, negli anni del Fascismo. Picasso invece pensava come voleva. Lui aveva la mente aperta. Era libero.”
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2 – PREFERENZE
Ogni insegnante ha un allievo preferito, c’è poco da fare, è così. È umano. Io non sfuggo a questa regola.
Soltanto che quasi mai i miei allievi preferiti sono quelli bravi in disegno… chissà perché.
Il mio allievo preferito negli ultimi tre anni non ha proprio mano, anzi. Il primo anno devo ammettere che era un vero disastro, poi piano piano è migliorato, ma certo non sarà mai un artista. Le materie per cui è veramente portato sono quelle scientifiche.
Nel compito di matematica, all’esame, ha preso 10.
Serio, silenzioso, discreto, in tre anni ci siamo parlati pochissimo. Il giorno dell’esame orale si è presentato con la cartellina del materiale di educazione artistica e tutti, ma dico tutti, i disegni fatti in tre anni, persino il test d’ingresso.
Il test d’ingresso consisteva nell’illustrare una fiaba, di solito ne leggo una dalla raccolta di Italo Calvino. Lui aveva disegnato una casa, con tratti molto infantili, e un personaggio che si sporgeva dal tetto a guardare la Luna. Nella fiaba, poi, la Luna portava via con sé quel personaggio, diventandone la madre adottiva.
Guardavo quei disegni, uno per uno, mentre lui firmava il documento d’esame e i miei colleghi gli facevano le solite domande di circostanza per metterlo a suo agio. Nel giro di un minuto, quei fogli pasticciati mi hanno fatto tornare indietro e rivivere i pochi momenti che ero riuscita a dedicare a quel ragazzino.
Le ore sono poche, gli alunni tanti… e spesso ci si dedica ai ragazzi più chiassosi, quelli che disturbano, che danno problemi, che cercano attenzione a tutti i costi. Finisco sempre per trascurarli, i miei allievi preferiti, tanto che, probabilmente non se ne accorgono nemmeno, di essere i miei preferiti…
Ecco, siamo all’ultimo esame, poi non lo vedrò più. È cresciuto anche lui, nonostante l’aspetto sia ancora quello di un bambino. Mi scappa un sospiro. Ne sento già la nostalgia.
“Con cosa vuoi cominciare?” gli chiede il mio collega di matematica.
“Con Arte” risponde lui, girandosi verso di me “ho approfondito Jackson Pollock.”
Qualcuno tra i professori alza le sopracciglia.
Lo sapevo di essere la sua preferita…
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3 – NUVOLA
Ha fatto davvero un bell’esame, ma ce lo aspettavamo. Quando ha finito l’orale ha consegnato un biglietto a ciascun insegnante, di cui vi riporto il contenuto:
Sogno
Speranza
Desiderio
Emozione
Guardala…
Lasciati trasportare
Sorridi
E il mondo sorriderà.
Io adesso sono quella nuvola, alta, levata al cielo. Lo sono diventata anche grazie a Lei, al suo sostegno e a tutto ciò che mi ha donato. Così adesso, se ogni tanto guarderà l’immensità del cielo, vedrà quello che ha seminato, crescere.
Con affetto,
Caterina
CONCLUSIONE
Ce ne sarebbero di storie da raccontare, sugli esami… una diversa per ogni ragazzo. Non tutte sono belle, non tutte me le posso ricordare… ma so che ognuna è preziosa. Quello dell’insegnante è un lavoro difficile e malpagato, e siccome è malpagato, viene percepito come poco importante da questa società che dà valore solo a ciò che ha un prezzo.
Per me invece è fondamentale, è il lavoro che ho sempre voluto fare e che amo. Stanno cercando in tutti i modi di farci passare la voglia di insegnare, questo è stato un anno scolastico davvero difficile e sono cosciente che i prossimi saranno anche peggiori, se non ci sarà un’inversione di tendenza nella politica e nella società. Ma sono molto pessimista a riguardo.
Per questo sono preziose queste storie.
Un abbraccio a tutti i miei alunni che quest’anno hanno finito gli esami.
Grazie, ragazzi.
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